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Ogni aspetto della produzione sociale (l’archeologico “comando” capitalistico, inteso in senso economico-sociale) sarebbe stato sussunto dal Capitale finanziario che, per Antonio Negri (video-intervista sotto), organizzarebbe (in maniera consapevole e come “valore aggiunto” alla valorizzazione) anche la cooperazione e le opportunità del Comune. Oppurtunità che la Moltitudine dovrebbe cogliere costruendo scientificamente la propria autonomia attraverso l’Esodo dai meccanismi dell’appropriazione capitalistica. Esodo come “lotta di classe” e riappropriazione dei mezzi della produzione/riproduzione della Vita utilizzando il lavoro biopolitico come eccedenza sistematica ai limiti del comando del Capitale.
“Comune. Oltre il privato ed il pubblico“, per essere molto sintetici, sembra essere un tentativo concreto di pensare l’autonomia politica e sociale della Moltitudine. Dopo gli anni Settanta, dai ragionamenti sull’autonomia operaia (fondamentale, su questo argomento, il libro di Mario Tronti “Operai e Capitale“) qualcuno prova a pensare l’autonomia del Comune. Dopo Impero (2002, Rizzoli) e Moltitudine (2004, Rizzoli), l’ultima parte della trilogia hardtnegriana, a nostro avviso, delude le aspettative anche se l’impianto teorico che mette in gioco è certamente di valore. C’è comunque uno scarto evidente tra Moltitudine (il penultimo libro) e Comune. Circa sei anni di incubazione hanno sicuramente prodotto, negli autori, degli investimenti interessanti in termini di realtà e conoscenza delle dinamiche sociali. Ad ogni modo Comune non è, banalmente, il terzo Capitolo di un percorso già pensato ma si presenta come una ripresa ed una radicale rielaborazione dell’intera impalcatura analitica. Molti commentatori hanno descritto la sequenza di Impero-Moltitudine-Comune quasi come un passaggio “dialettico” che parte da un’analisi generale del comando imperiale (Impero), procede verso l’individuazione di una soggettività politica capace dell’alternativa attraverso un’esegesi della composizione dell’antagonismo (Moltitudine) e, infine, si conclude con la creazione di un’alternativa politica vera e propria che prenda spunto dall’espropriazione della produzione immateriale (Comune). Probabilmente questa lettura non è corretta. Abbiamo la sensazione che “Comune” ecceda la traiettoria di Impero-Moltitudine e si presenti come un compendio autonomo. Per questa ragione lo si dovrebbe leggere senza “l’ombra” (decisamente ingombrante) dei fratelli maggiori.
Fare una recensione totale delle circa 380 pagine del libro sarebbe, a nostro avviso, inutile. Meglio lasciare lo spazio alla lettura perchè le interpretazioni dipendono dagli approcci individuali (e dalle biografie personali). Per questo tenteremo semplicemente un “ragionamento” (correndo il rischio di diventare banali) sugli argomenti più sensibili proposti da Hardt e Negri. E, muovendo da questo presupposto, il concetto da cui si potrebbe partire (per poi investirne altri) è proprio quello della Rivoluzione. Comune, infatti, si pone chiaramente il problema della Rivoluzione, separando nettamente le nuove possibilità dalle realtà rivoluzionarie prodotte dal movimento comunista nel corso della Storia (su tutte la Rivoluzione bolscevica come “guerra di movimento”, per dirla come Antonio Gramsci). “Scopo della rivoluzione ora – scrivono gli autori – è la costruzione di una nuova società“. Non ci sono Palazzi d’Inverno da assaltare, quindi, ma si parla di un processo costituente radicalmente democratico (Democrazia intesa come autogoverno della Moltitudine) che, attraverso il concatenamento delle singolarità ed il dispiegamento dei conflitti su piani differenti (la classe, il genere, il territorio…), deve essere capace di produrre Moltitudine e, quindi, creare le nuove Istituzioni del Comune (naturalmente riduciamo all’essenziale la corposa trattazione del libro). Attorno al concetto di Rivoluzione, quindi, si dipana tutta la “teoria” del Comune.
Per Hardt e Negri viviamo al tramonto di un fallito “Colpo di Stato” ai danni dell’Impero che ha prodotto un sistema di governo mondiale non più caratterizzato da un Comando unico ed unificato (e neanche dal “multilateralismo” del Novecento) ma da una rete diffusa di organismi della governamentalità (Stati, Imprese multinazionali, Istituzioni economiche…) definita governance. In questa rete diffusa di governo si muovono i corpi delle singolarità “povere” che, però, conservano la possibilità di entrare in contatto reciproco per creare le Istituzioni del Comune. Questi incontri si manifestano attraverso esplosioni costituenti all’interno di dinamiche sociali determinate e dominate dall’identità e dalla corruzione del Comune (la Famiglia, l’Impresa e la Nazione sono gli agenti della degenerazione). La forma del Lavoro biopolitico, che rappresenta la nuova composizione “tecnica” della produttività, permetterebbe l’autonomia delle singolarità, perchè rese sempre più responsabili della creazione della cooperazione, e la capacità di costituire organizzazioni di rete con lo scopo di rovesciare la corruzione del Comune costituendo nuove forme di Vita e di solidarietà. Questo quadro analitico, che qui abbiamo riassunto brevemente, viene incorniciato dalle categorie di “povertà” e “amore” che, nella sostanza, dovrebbero essere utili a rimettere in discussione i concetti di “classe” e di “politica”.
Comune si presenta come un testo controverso. La parte relativa alla Rivoluzione sembra abbastanza banale. E’ quasi un conato nostalgico ed un “dovere” letterario legato all’analisi dell’autonomia del Comune. Un percorso dialettico che lega all’analisi della soggettività uno sbocco politico rivoluzionario (a tutti i costi). Il concetto di Moltitudine, invece, rimane una defizione troppo vaga per cogliere effettivamente tutte le dinamiche dei processi di soggettivazione in circolo nei conflitti. Hardt e Negri tentano una ricomposizione disperata delle soggettività dicendo che ogni conflitto è irriducibile ad un paradigma ma tutti si possono intersecare con lo scopo di rovesciare la corruzione del Comune. Ma potrebbe anche accadere il contrario. L’intersezione non sarà “grammaticalmente” riconducibile all’unificazione, ma in realtà si sta sempre tracciando il tentativo di costruire un modello unico di attività politica (con un preciso destino rivoluzionario). Molto più interessante risulta essere la parte “analitica” del libro, quando gli autori propongono una genealogia della Repubblica della Proprietà e si indaga per una fenomenologia dei Corpi coinvolti. Corpi intesi come “fabbriche biopolitiche dell’essere”. Le indagini sulla composizione tecnica del lavoro biopolitico, invece, sono propedeutiche alla ricerca del Kairos della Moltitudine nella creazione del Comune ovvero dell’Evento biopolitico inteso come momento fondamentale della Costituzione dei commons.
Tirando le somme possiamo dire che Comune ci è sembrato un testo estremamente interessante a metà. E’ imprescindibile per quanto riguarda la discussione sui commons, perchè si prendono in considerazione fenomeni differenti cercando di leggerli con uno sguardo “creativo” e non semplicemente in modalità analitica. Nel senso che gli autori non si limitano a fare una ricognizione degli episodi per giustificare alcune osservazioni ma ricostruiscono gli avvenimenti per produrre un’eccedenza di analisi. La proposta di Comune di Hardt e Negri può essere elemento importante da mettere sul terreno di un confronto molto più ampio (e strategico). La parte relativa alla “risoluzione” dell’analisi, ovvero alla definizione di uno sbocco politico ai conflitti, invece, diventa pletorica. L’irriducibilità dei conflitti e la molteplicità dei percorsi di soggettivazione sono tali che un discorso “costituente” dovrebbe essere tema solo delle narrazioni Fantasy.
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Per complimentarmi.
Domenico Corradini H. Broussard
Prof. ordinario di Filosofia del diritto
Università di Pisa
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