“La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo ed amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso” Giovanni Paolo II nell’enciclica “Fides et Ratio” (1998). Questa citazione, riportata un po’ ovunque, sembrerebbe esemplificare il nodo centrale della teologia e della filosofia di Giovanni Paolo II, di chiara ispirazione tomista. Leggendo però meglio la Fides et Ratio, ci si accorge del primato della rivelazione sulla filosofia. Oggi, primo maggio 2011, nel giorno della sua beatificazione, un bilancio della suo pensiero è quasi obbligato.
Sempre nella Fides et Ratio, il papa polacco, dopo aver elogiato e ringraziato la filosofia per aver guidato nel corso dei secoli il pensiero umano verso la verità, commenta:
La filosofia moderna, dimenticando di orientare la sua indagine sull’essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana. Invece di far leva sulla capacità che l’uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo. Di recente, poi, hanno assunto rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che l’uomo era certo di aver raggiunte. La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull’assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo. A questa riserva non sfuggono neppure alcune concezioni di vita che provengono dall’Oriente; in esse, infatti, si nega alla verità il suo carattere esclusivo, partendo dal presupposto che essa si manifesta in modo uguale in dottrine diverse, persino contraddittorie tra di loro. In questo orizzonte, tutto è ridotto a opinione. Si ha l’impressione di un movimento ondivago: la riflessione filosofica mentre, da una parte, è riuscita a immettersi sulla strada che la rende sempre più vicina all’esistenza umana e alle sue forme espressive, dall’altra, tende a sviluppare considerazioni esistenziali, ermeneutiche o linguistiche che prescindono dalla questione radicale circa la verità della vita personale, dell’essere e di Dio. Di conseguenza, sono emersi nell’uomo contemporaneo, e non soltanto presso alcuni filosofi, atteggiamenti di diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse conoscitive dell’essere umano. Con falsa modestia ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale. E’ venuta meno, insomma, la speranza di poter ricevere dalla filosofia risposte definitive a tali domande.
Questa citazione, che esemplifica la confusione che alberga fra molti alti prelati tra i termini relatività e relativismo (e mistifica il dibattito tra pensiero forte vs debole), sembra un estratto di quello che è il succo dottrinale del libro di Ratzinger e dell’ateo devoto Marcello Pera intitolato Senza radici (2004). L’ex roccaforte Occidente non avrebbe altra speranza che il pensiero forte cattolico, come se la nostra tradizione greca, romana, umanista, illuminista, socialista, liberale, ambientalista ecc avesse deposto le armi e non reggesse il confronto con un pericolo proveniente dall’esterno, da chissà dove. La teologia di Giovanni Paolo II, come quella di Ratzinger, è primaria e onnicomprensiva, un apriori: guida la loro riflessione filosofica al punto tale da condizionare la stessa loro definizione di filosofia, pericolosamente epurata dai contributi della filosofia moderna e contemporanea (tanto per cominciare, epurata del “pericolosissimo” e germanico-protestante Kant, la filosofia del polacco DEVE occuparsi per definizione del problema “dio”, con un necessario sviluppo…). Il pensiero tomista affermerà sempre che la ragione, correttamente applicata, porterà alle stesse conclusioni generali della teologia rivelata, il che è un assunto totalmente arbitrario che condiziona, ora con sfumature più Agostiniane, ora meno, la storia del pensiero filosofico della Chiesa Cattolica. E non potrebbe essere in altre maniere: per Giovanni Paolo II, diversamente, il non credere in Dio (quale Dio? Certamente l’Uno ebraico-platonico cristianizzato) diventerebbe solo un fatto di non-volontà, anziché anche di “cattivo ragionamento”, come abbiamo spiegato in un altro post sul pensiero laico e la filosofia. E la teologia cattolica non potrà mai ammettere che non esiste un uso ortodosso di usare la speculazione filosofica, come non potrà mai legittimare il fatto che il metodo filosofico si basi su un paradigma interno e autonomo di radicale critica di ogni assunto dato per “naturale” o “eterno”.
Dunque, l’innovatore Giovanni Paolo II, se pur ha rivisitato e rilanciato (con la sua figura giovanile ed anche con i suoi famosi Mea Culpa, come la riabilitazione di Galileo Galilei) l’immagine mediatica e umana della Chiesa (diversamente da Ratzinger, non è un teologo ma un uomo che ha vissuto in prima persona, da protagonista, diverse tragedie del Novecento) dottrinalmente è in perfetta consonanza con il successore Ratzinger, suo amico e braccio destro. Dal punto di vista mediatico, è stato anche il papa del reality show, della sofferenza che diviene icona (il suo Parkinson era diventato una vittimaria icona cristica), e mi chiedo cosa sarebbe successo all’attuale dibattito sul Testamento di fine vita se Giovanni Paolo II fosse stato attaccato ed intubato ad una macchina per la respirazione e l’idratazione invece di permettere una sua dignitosa e liberale (oltre che liberatrice) morte. Lui, il papa che condanna violentemente la mafia e la guerra del golfo, il papa diplomatico che va in visita a Pinochet ed a Fidel Castro, il papa sportivo con gli sci, era comunque di per sé una icona mediatica di rinnovamento e di superamento delle distanze, già prima della malattia e dell’attentato.
Ma torniamo alla sua teologia/filosofia: la posizione di Giovanni Paolo II si inasprisce (o semplicemente, si chiarifica ulteriormente) con l’enciclica del 2000, la Dominus Iesus (a firma di Ratzinger) nella quale la Chiesa del nuovo millennio ribadisce un principio che lo stesso Concilio Vaticano II non aveva mai smentito, ma solo attenuato: che la “salvezza” viene solo dalla Chiesa Cattolica. In questo documento, il papa polacco esprimeva posizioni su ecumenismo, Chiesa, Chiese separate e Verità certo non in difformità, ma, usando un eufemismo, in “chiaroscuro” rispetto alle seppur blande evoluzioni dottrinali della teologia cattolica degli ultimi anni, che prevalentemente venivano da vescovi, prelati e teologhi di “minoranza” (per citarne qualcuno, Carlo Maria Martini, Enzo Bianchi, Hans Küng, Leonardo Boff, Raimon Pannikar, Jacques Dupuis). Dal punto di vista della bioetica, o su temi più popolari come il sesso, la contraccezione, o il sacerdozio femminile, nessuna apertura, solo chiusure, anzi, da questo punto di vista sembra che Ratzinger sia più liberale del suo vecchio amico, visto che, per alcuni particolari casi, il tedesco ha recentemente ammesso la legittimità del profilattico.
Da ridimensionare anche la famosa apertura del papa polacco al darwinismo nel 1996 (non più considerato solo una “mera ipotesi”): pur restando nel classico paradigma (che appartiene, con le dovute differenze, anche al “sacro” di molte altre culture del mondo) di un inizio dei tempi in comunione con Dio, di una successiva caduta, e di una misteriosa redenzione, papa Wojtyła si espresse sull’evoluzionismo in maniera positiva, certo escludendo qualsiasi epifenomeno del concetto cristiano di anima/spirito da pure cause materiali e ribadendo il nefando e classico “salto ontologico” fra animali ed essere umano. Uno degli aspetti più negativi del suo pontificato, sempre a livello dottrinale, rimane la sua chiusura alla teologia della liberazione in America Latina, bollata con troppa superficialità e noncuranza di marxismo (come fosse una pericolosa parolaccia): certo non ci si poteva attendere altro da un papa che ha vissuto in prima linea la sacrosanta indipendenza polacca dall’ex Urss. Oggi stesso, nel giorno della sua beatificazione, il suo erede Ratzinger ha dichiarato in pompa magna: “Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all`ideologia del progresso egli [Giovanni Paolo II] l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di ‘avvento’, in un`esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell`uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace”. Se è vero che i teleologismi più significativi degli ultimi due secoli sono stati il marxismo ed il progresso, due visioni programmatiche di quello che ci aspetterebbe, due narrazioni significative e straordinarie se prese con le pinze e se sottoposte alla critica filosofica, di certo il teleologismo di Wojtyła era solo una parola, “Cristo”, che non è di certo servita a salvarci da quella grande e inesorabile narrazione che ha conquistato il mondo (e che forse Ratzinger si è scordato volontariamente di citare?) chiamata mercato, chiamata Capitalismo. Un Capitalismo oramai chiaramente neocolonialista, in virtù del quale bombardare umanitariamente la Libia è più proficuo (per adesso) che bombardare la Siria. Un mercato che ha appena provocato un nuovo ’29. Un capitalismo che sta cambiando la fisionomia e la geopolitica del nord Africa, nonchè dell’Europa. Un mercato che inesorabilmente sostituisce, anche la domenica, l’ipermercato alla chiesa, all’oratorio, alla casa del popolo. Che entra nella case, nei corpi, modificandoli e plasmandoli. Un capitalismo che, per sopravvivere ed espandersi, continua ad affamare l’80% del mondo, inquinando e saccheggiando ogni ambiente senza alcuna responsabilità per le generazioni future , e che inasprisce (e non diminuisce) la differenza fra chi ha tutto e chi non ha niente.
In questo link, un video-ricordo del pontefice (Blob)
AGGIORNAMENTI (15 maggio 2011) : vedi anche Antropologie negative, modernismo e antimodernismo. La filosofia di Giovanni Paolo II
Non sono d’accordo con quello che scrivi. Al dilà della citazione di papa Benedetto, proprio la Chiesa e Cristo sono l’ultimo baluardo contro quello che chiami mercato, e Giovanni Paolo II lo sapeva bene. Quello che presupponete sia un pensiero conservatore è in realtà un’ancora di salvezza in questo mondo. Così come, in passato, quest’ancora ci ha salvati dalla dittatura illiberale del comunismo sovietico. Sono invece d’accordo sul fatto che rispetto al dialogo con il protestantesimo e con gli Ortodossi, Giovanni Paolo II avrebbe potuto fare di più.
Pascal, non voglio entrare in merito a tutti i problemi che la tua risposta comporta. Mi limito a dire che spesso il mercato non è avvertito dalla Chiesa come un pensiero forte, una narrazione ben strutturata e organizzata con i suoi teorici, tecnici ed esponenti, bensì come, al massimo, un sistema che si caratterizza per la sua assenza di struttura; il che è misconoscerne il “pericolo”. Sul fatto che la Chiesa ci avrebbe salvato dallo Stalisnismo, mi limito a dire che era già nel Dna di Togliatti una versione italiana di Socialismo… semmai la Chiesa ha alimentato, in Italia, uno scontro che era principalmente politico (e in parte “spirituale”). Ma non vorrei cambiare argomento e discussione.
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