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La filosofia non è Star Trek (da L’Espresso online)
Sulla “Repubblica” del 6 aprile scorso era apparsa un’anticipazione del libro di Stephen Hawking e Leonard Mlodinow, “il grande disegno” (Mondadori, euro 20) introdotto da un sottotitolo che peraltro riprendeva un passaggio del testo, “la filosofia è morta, solo i fisici spiegano il cosmo”. La morte della filosofia è stata annunciata varie volte, e quindi non c’era da impressionarsi, ma mi pareva che un genio come Hawking avesse detto una sciocchezza. Per essere sicuro che “Repubblica” non aveva riassunto male sono andato a comprare il libro, e la sua lettura mi ha confermato nei miei sospetti.
Il libro appare come scritto a due mani, salvo che nel caso di Hawking l’espressione è dolorosamente metaforica perché sappiamo che i suoi arti non rispondono ai comandi del suo eccezionale cervello. Dunque il libro è fondamentalmente opera del secondo autore, che il risvolto di copertina qualifica come eccellente divulgatore e sceneggiatore di alcuni episodi di “Star Trek” (e lo si vede anche dalle bellissime illustrazioni che sembrano concepite per una enciclopedia dei ragazzi d’altri tempi, perché sono colorate e affascinanti, ma non spiegano proprio niente dei complessi teoremi fisico-matematico-cosmologici che dovrebbero illustrare). Forse non era prudente affidare il destino della filosofia a personaggi con le orecchie da leprotto.
L’opera si apre proprio con l’affermazione perentoria che la filosofia ormai non ha più nulla da dire e solo la fisica può spiegarci (1) come possiamo comprendere il mondo in cui ci troviamo, (2) quale sia la natura della realtà, (3) se l’universo abbia bisogno di un creatore, (4) perché c’è qualcosa invece che nulla, (5) perché esistiamo e (6) perché esiste questo particolare insieme di leggi e non qualche altro. Come si vede sono tipiche domande filosofiche, ma occorre dire che il libro mostra come la fisica possa in qualche modo rispondere proprio alle ultime quattro, che sembrano le più filosofiche di tutte.
Solo che per tentare le ultime quattro risposte occorre avere risposto alle prime due domande e cioè, grosso modo, che cosa vuol dire che qualche cosa è reale e se noi conosciamo il mondo proprio così come è. Ve lo ricorderete dalla filosofia studiata a scuola: noi conosciamo per adeguazione della mente alla cosa? c’è qualcosa fuori di noi (Woody Allen aggiungeva: “E se sì, perché fanno tutto quel chiasso?”) oppure siamo esseri berkeleiani o, come diceva Putnam, cervelli in una vasca?
Ebbene, le risposte fondamentali che questo libro propone sono squisitamente filosofiche e se non ci fossero queste risposte filosofiche neppure il fisico potrebbe dire perché conosce e che cosa conosce. Infatti gli autori parlano di “un realismo dipendente dai modelli”, ovvero assumono che “non esiste alcun concetto di realtà indipendente dalle descrizioni e dalle teorie”. Pertanto “differenti teorie possono descrivere in modo soddisfacente lo stesso fenomeno mediante strutture concettuali disparate” e tutto quello che possiamo percepire, conoscere e dire della realtà dipende dalla interazione tra i nostri modelli e quel qualcosa che sta al di fuori ma che conosciamo solo grazie alla forma dei nostri organi percettivi e del nostro cervello.
I più sospettosi tra i lettori avranno persino riconosciuto un fantasma kantiano, ma certamente i due autori stanno proponendo quello che in filosofia si chiama “olismo” e per alcuni “realismo interno”. Come si vede non si tratta di scoperte fisiche bensì di assunzioni filosofiche, che stanno a sostenere e a legittimare la ricerca del fisico – il quale, quando è un bravo fisico, non può che porsi il problema dei fondamenti filosofici dei propri metodi. Cosa che sapevamo già, così come conoscevamo già qualcosa delle straordinarie rivelazioni (evidentemente dovute a Mlodinow e alla ciurma di Star Trek), per cui “nell’antichità era istintivo attribuire le azioni violente della natura a un Olimpo di divinità dispettose o malevole”. Perdinci e poi perbacco.