Tutto ebbe inizio con un buco. Anzi, si fecero molti buchi. Buchi nella Terra. Terra bucata. In un buco, poi, ci può finire qualunque cosa. Non a caso, nella metafora, il “buco nero” è uno spazio sconosciuto, un non-luogo dove essere risucchiati per poi venire vomitati chissà dove e chissà come. Buchi neri nella Terra. Il buco, inoltre, è sempre un buco interessato, è un buco di qualcuno. È una proprietà, privata. È un buco privato che qualcuno produce, crea, attualizza per qualche motivo. Per togliere o per mettere. Per estrarre o per inserire. La funzionalità dei buchi, quindi, si modifica a seconda delle esigenze. Anche le trincee del primo Conflitto mondiale erano buchi, riempiti dai Rifiuti. Rifiuti umani, perché la Guerra, ogni Guerra, rende l’Essere umano un Rifiuto. Rifiuto di se stesso, innanzitutto. Eppure nessuno rifiuta la Guerra, in ogni Epoca. Solo ed unico Bene comune dell’Umanità. Ma non è questo il nostro caso. O forse si. Perché anche i Rifiuti che quotidianamente produciamo ci appartengono, sono parte di quello che facciamo, di come viviamo. Sono nostri, nostra responsabilità, nostra scelta. È un Rifiuto di noi stessi che va a riempire qualche buco. Siamo noi in qualche buco, il nostro riflesso che riempie la Terra. Terra bucata, appunto. Ma la Terra è condivisione, è pienezza. La Terra ha orrore del buco, per questo tende a riempirlo. Tende a riempirsi. Povera Terra.
Anche la Discarica, all’inizio, era semplicemente un buco. Un buco da cui estrarre qualcosa. Qualunque cosa. Un buco fatto da qualcuno, anche senza dire nulla a nessuno, per trarre un proprio interesse. Il buco è uno svuotamento della Terra che, successivamente, reclama pienezza. Così, da un giorno all’altro, il buco comincia a riempirsi. Si riempie di riflessi umani, di scarti della Società dei Consumi, di proprietà personali dimenticate ed abbandonate. Gli chiamano Rifiuti.
Non è un caso che, da una ventina d’anni a questa parte, spesso i Movimenti non si legano esclusivamente agli aspetti del Lavoro, del Reddito o di argomenti “etici” più o meno scottanti. I Movimenti più incisivi, quelli che hanno avuto l’onore e l’onere della ribalta mediatica, sono quelli che nascono (e, qualche volta, muoiono) sulla Terra, per questioni territoriali. L’Alta Velocità in Val di Susa ha creato un Movimento/Comunità che ancora vive e si moltiplica. La base americana di Vicenza ha risvegliato un pacifismo “territoriale”, perché non di sole basi militari può vivere l’Essere umano. La gestione/non gestione del Ciclo dei Rifiuti in Campania ha portato a situazioni da guerrilla urbana a cui si è dovuto rispondere addirittura promulgando Leggi speciali per impedire lo sviluppo “degenerativo” della conflittualità. Ci sarebbero tante altre situazioni da raccontare, seppure all’oscuro dal Gran Galà televisivo. Sono tutti Movimenti e Conflitti che non parlano semplicemente di Ambiente, ma si rivolgono all’Ecologia. Per Ecologia intendiamo un processo complesso di Governo dell’Ambiente. Ed infatti i Movimenti territoriali, queste intere Comunità in rivolta (che, nel maggior parte dei casi, superano le appartenenze partitiche ed elettorali), chiedono principalmente capacità di decisione contro la “monofunzionalità” a cui la Terra, spesso, è destinata. Queste Comunità si oppongono al Destino, al Fato, al fatto che una discarica, o un Impianto, debba essere localizzato per sempre nello stesso posto perché chi c’è si è “abituato” mentre spostarlo vorrebbe dire coinvolgere altre Terre e stimolare l’opposizione di altre Comunità. Egoismo territoriale, NIMBY (Not In My BackYard). Ma l’Egoismo territoriale è il prodotto dell’impossibilità di decidere. Se la soluzione ad un problema importante, come i Rifiuti, non dipende realmente dalle scelte della Comunità, è meglio sottrarsene completamente. Se sono altri a scegliere per me, della mia Terra, meglio non correre il pericolo di subire la presenza di questi spazi a “sovranità” negata.
La Terra, quindi, reclama possibilità di decisione. Una decisione di cui è stata progressivamente esautorata. Ma è stata una negazione lenta, avvenuta a mezzo di Decreti ministeriali e regionali, di deliberazioni provinciali e comunali, di delega continua al Mondo industriale rispetto alla soluzione di problemi pienamente sociali. La Terra, la partecipazione attiva della Comunità alla propria Vita, si è ridotta ad una questione di atti amministrativi.
Crediamo che ognuno abbia il proprio ruolo nella Storia. L’Azienda tenderà sempre a massimizzare i propri profitti, perché questa è la sua natura. La Responsabilità Sociale d’Impresa è tanto utile quanto lo fu la Repubblica Sociale Italiana (non a caso l’acronimo è il medesimo). Non solo ma l’Azienda, per sopravvivere alle trasformazioni industriali, deve sempre adeguarsi alle nuove tecnologie o alle nuove “tendenze” della produzione in un determinato settore. L’Azienda non persegue altro se non la propria missione, utilizzando gli strumenti che, di volta in volta, ha ritenuto più opportuni per raggiungere l’obiettivo. Dall’intuizione che da un buco si sarebbe potuto trarre profitto fino alla realizzazione dell’Impianto complesso con annessa linea di biostabilizzazione dei Rifiuti Solidi Urbani, produzione di Combustibile Da Rifiuti e discarica di servizio/soccorso, la strada non è breve e sicuramente ci vogliono abilità manageriale e “cattiveria” industriale per percorrerla. Dall’altro lato le Comunità locali hanno fatto (e continuano a fare) quello che possono per cercare di limitare ciò che ritengono un danno (sociale, economico e produttivo). Spesso in maniera contraddittoria, con più elementi di frammentazione che di condivisione, provano comunque a suggerire un altro modo possibile di gestire il Ciclo Integrato di Rifiuti, “liberando” una Terra da oltre trent’anni vessata dal profitto economico-industriale. In mezzo ci sono le Istituzioni, comunali-provinciali-regionali, ed un confronto fondato su Atti amministrativi e ricorsi giudiziari che, poco a poco, hanno destrutturato completamente la responsabilità territoriale per accentrare il potere decisionali solo ed esclusivamente in pochi Uffici (pubblici e privati) e, soprattutto, molto lontani dalla Vita quotidiana del Territorio. Al centro di questa trasformazione istituzionale troviamo uno strumento sociale ed amministrativo che ha veicolato le sorti della Terra: l’Emergenza.
Così la storia si riduce a due tendenze. Innanzitutto il progressivo “svuotarsi” della capacità delle Comunità locali di incidere sulle scelte politiche ed amministrative in maniera proporzionalmente inversa all’accentramento dei poteri decisionali. Quando il coinvolgimento degli Enti locali aveva ancora un senso “determinante” (o quantomeno importante) nelle scelte in materia di gestione dell’Ambiente, i Movimenti sono sembrati più incisivi e partecipati (ottenendo anche risultati importanti). Quando il “centro di comando” si è spostato nell’Istituto del Commissario delegato per l’Emergenza ambientale, le Comunità locali hanno cominciato a perdere la propria vis ecologica e capacità organizzative. Gli stessi Enti locali non sono riusciti più a sottrarsi dalle logiche emergenziali disposte dal Governo centrale (nazionale o regionale) che è diventato l’esecutore principale e l’unico referente delle proprie strategie, in collaborazione stretta con le Aziende del settori operanti sul territorio (naturalmente). Altra tendenza che si palesa è l’opportunismo nella descrizione dei Luoghi e l’assurdità del valore delle expertise. Una Relazione a sostegno di una proposta aziendale di sviluppo del volume di affari è “Verità” a confronto dei Saperi locali, pur presentando evidenti contraddizioni o addirittura mistificazioni della Realtà.