“Uomo, sei capace di essere giusto? E’ una donna che te lo domanda. Tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi, chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? […]. Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo illuminato e di sagacia, nell’ignoranza più stupida, vuole comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; pretende di godere della rivoluzione, e reclama i suoi diritti all’uguaglianza”
Queste parole sono tratte dal preambolo alla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, scritta da Olympe de Gouges durante gli anni della rivoluzione francese, quando i sostenitori degli ideali di libertà e fratellanza avevano dimenticato una fetta considerevole della popolazione. Per la gentilezza fatta nell’aver fatto notare la distrazione, Olympe de Gouges è stata ghigliottinata nel 1793.
La storia delle donne è una storia di battaglie appassionate, sofferte e disperate per rivendicare diritti e dignità; noi raccogliamo con gratitudine i frutti di chi ha combattuto prima di noi, per noi. Ma noi afferriamo anche quella staffetta che la storia ci pone e ci assumiamo la precisa responsabilità morale di non accontentarci delle briciole, di non accettare una parità imperfetta e superficiale.
Il noi indica tutti coloro che rappresentano la parte sana della società umana.
Perché lottare per i diritti delle donne significa lottare per i diritti di tutta la società. Come affermò in un discorso pronunciato nel 1912 la rivoluzionaria Rosa Luxemburg: “Un secolo fa, il francese Charles Fourier, uno dei primi grandi profeti degli ideali socialisti, scrisse queste memorabili parole: “In qualunque società, il grado di emancipazione femminile è la naturale misura dell’emancipazione generale”. Ciò è assolutamente vero per la nostra attuale società. L’attuale lotta di massa per i diritti politici delle donne è solo un’espressione e una parte della generale lotta del proletariato per la liberazione. In questo risiede la sua forza e il suo futuro .
Una lunga tradizione che trova uno dei suoi massimi esponenti in Aristotele ha relegato la donna alla materia, all’irrazionalità in contrapposizione all’uomo, considerato invece l’espressione della ragione.
Con la donna tra gli esseri irrazionali sono stati inseriti anche popoli diversi (un esempio paradigmatico, i nativi americani) e gli animali. L’Altro, la diversità è stata nella storia sempre considerata inferiore, oppure si è cercato di assimilarla. Probabilmente qui sta la frattura: la differenza infatti non deve mai implicare discriminazione né livellamento: riconosciuta come tale deve essere valorizzata e rispettata.
Un evidente filo rosso di sangue e violenza lega tutte le vittime di sopraffazione: rese bersaglio per la loro diversità, perché minoranze, o perché più deboli.
Se il diritto si basa sulla forza gli esseri viventi saranno sempre catalogati e gerarchizzati come nel grattacielo di Horkheimer: una struttura sociale che prevede al vertice quelli fortunati che possono godere dell’aria pura solo perché schiacciano sotto i loro piedi coloro che sono meno fortunati e agonizzano alla base.
La lotta per le rivendicazioni di diritti e libertà quindi deve unire, non escludere, tutti gli oppressi nelle loro differenze e peculiarità.
L’empatia e la solidarietà verso gli altri esseri viventi si allarga fino a eliminare il paradigma antropocentrico su cui ci siamo arroccati da tanto, troppo tempo, diventando così il principale nemico della stessa vita sulla terra. Un legame di empatia ci lega con gli altri esseri viventi. Fortunatamente, non siamo soli ma siamo circondati da tanti esseri viventi, bellissimi ed intelligenti, l’Altro rispetto a noi, che sfruttiamo e torturiamo quasi perennemente ma a cui siamo legati inequivocabilmente. Mentre si trovava in carcere, proprio Rosa Luxemburg in una lettera scrisse:
«Sonička, qui ho provato un dolore molto intenso. Nel cortile dove vado a passeggiare arrivano di frequente carri dell’esercito, zeppi di sacchi o vecchie giubbe e casacche militari, spesso con macchie di sangue. Vengono scaricate, distribuite nelle celle per i rattoppi e quindi di nuovo caricate e rispedite all’esercito. Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Di struttura sono più robusti e più grandi rispetto ai nostri buoi, hanno teste piatte e corna ricurve verso il basso, il cranio è più simile a quello delle nostre pecore, completamente nero e con grandi occhi mansueti. Vengono dalla Romania, sono trofei di guerra… I soldati che conducono il carro raccontano quanto sia stato difficile catturare questi animali bradi, e ancor più difficile farne bestie da soma, abituati com’erano alla libertà. Furono presi a bastonate in modo spaventoso, finché non valse anche per loro il detto «vae victis »… Soltanto a Breslavia, di questi animali, dovrebbe esservene un centinaio; avvezzi ai grassi pascoli della Romania, ora ricevono cibo misero e scarso. Vengono sfruttati senza pietà, per trainare tutti i carichi possibili, e assai presto si sfiancano. Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo investì chiedendogli se non avesse un po’ di compassione per gli animali. « Neanche per noi uomini c’è compassione » rispose quello con un sorriso maligno e battè ancora più forte… Gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo, ma uno di loro sanguinava… Soniéka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime — erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! Quanto erano diversi, laggiù, lo splendore del sole, il soffio del vento, quanto era diverso il canto armonioso degli uccelli o il melodico richiamo dei pastori! E qui… questa città ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseabondo e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili e… le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta. Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l’edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia. E tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti agli occhi…»
Eleonora Corgiolu