da Action30 (del 3 Febbraio 2009, una Vita fa… per stimolare oggi un dibattito)
Si potrebbe dire che quasi tutte le rivoluzioni, tutte le trasformazioni sociali culturali e politiche, siano state condotte “materialmente” dal LUMPEN (la violenza è affare di pochi). Permettetemi un flash. Pensiamo alla rivoluzione luterana, ad esempio, che di fatto ha creato la Germania (nello specifico la Prussia) più_o_meno come noi la conosciamo (liberandola dall’oppressione della Chiesa “romana”). È stato il LUMPEN che, ad un certo punto della diatriba Lutero-papato, ha sviluppato tutta la violenza che poi è stata canalizzata ed utilizzata dai principi prussiani. Rimanendo al XIX secolo (solo per non ampliare eccessivamente il campo delle osservazioni), mi permetto di riprendere brevemente il 18° brumaio di Luigi Bonaparte, dove Marx affronta la questione del LUMPENPROLETARIAT (tradotto in italiano come sottoproletariato, probabilmente modificandone anche il senso).
Due cose, innanzitutto:
Uno; Marx individua un LUMPENPROLETARIAT “nobile” ed uno “plebeo”. Ovvero per Marx l’aristocrazia finanziaria, nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri, non è altro che la riproduzione dei sottoproletariato alla sommità della società borghese (riferimento da Lotte di Classe in Francia). Quindi partiamo dal presupposto che il LUMPENPROLETARIAT non è definito semplicemente dalla qualità o dalla quantità del reddito. E, chiaramente, non si vuole confondere neanche con la LUMPENBOURGEOISIE (come l’ha definita qualcuno in relazione all’America latina).
Due; (riporto dal 18° brumaio di Luigi Bonaparte) “[…] col pretesto di fondare un’associazione di beneficenza il sottoproletariato di Parigi era stato organizzato in sezioni segrete; ogni sezione era diretta da agenti bonapartisti; alla testa della Società vi era un generale bonapartista. Accanto a roués in dissento, dalle risorse e dalle origini equivoche; accanto ad avventurieri corrotti, feccia della borghesia, vi si trovavano vagabondi, soldati in congedo, forzati usciti dal bagno, galeotti evasi, birbe, furfanti, lazzaroni, tagliaborse, ciurmatori, bari, ruffiani tenitori di postriboli, facchini, letterati, sonatori ambulanti, straccivendoli, arrotini, stagnini, accattoni, in una parola, tutta la massa confusa, decomposta, fluttuante, che i francesi chiamano la bohème. Con questi elementi a lui affini, Bonaparte aveva costituito il nucleo della Società del 10 dicembre. “Società di beneficenza”, in quanto i suoi membri, al pari di Bonaparte, sentivano il bisogno di farsi della beneficenza alle spalle della nazione lavoratrice. Questo Bonaparte, che si erige a capo del sottoproletariato; che soltanto in questo ambiente ritrova in forma di massa gli interessi da lui personalmente perseguiti, che in questo rifiuto, in questa feccia, in questa schiuma di tutte le classi riconosce la sola classe su cui egli può appoggiare senza riserve, è il vero Bonaparte, il Bonaparte sans phrase“.
Questo per rimarcare che la composizione del LUMPEN non è così immediatamente determinabile su indicazioni “economiche”, di occupazione di spazio urbano oppure di gruppo sociale ma è quasi un processo storico di costituzione di un gruppo (o di un ceto), sempre storicamente determinabile ma strettamente in relazione con le dinamiche di CLASSE.
Questi due punti servono a chiarire un dato: (secondo una mia umilissima lettura) il LUMPENPROLETARIAT, per Marx, non è semplicemente “spazzatura”. È molto di più, è un campo di forze decisamente più complesso. Probabilmente non è imputabile a Marx, ma ai marxisti (sociologi, politologi e tuttologi) questa diversa definizione ed interpretazione “economicistica” del LUMPEN (che spesso, condiziona anche le nostre letture).
Inoltre, quando nel Manifesto del Partito Comunista viene delineato il LUMPENPROLETARIAT come “quell’insieme degli straccioni e della canaglia, che è ciò che rappresenta la putrefazione passiva degli strati infimi della società esistente” siamo così sicuri che si parli esclusivamente di “spazzatura”, di vagabondi criminali e feccia (quante volte ci è capitato di apostrofare nella maniera più brutale, come “canaglia”, un amico, un politicante-Quadro oppure un professore per un voto non meritato)? Come traduciamo Verfaulung (per esteso “das Lumpenproletariat, diese passive Verfaulung der untersten Schichten der alten Gesellschaft”)? In ogni caso il testo chiarisce immediatamente dopo che si vuole parlare di Esseri umani il cui abituale genere di vita lo rende più disposto a farsi comprare, e a farsi mettere in servizio delle mene reazionarie.
Questo è (a mio umile avviso) il primo quesito-problema (la prima traccia di ricerca): la composizione (altrimenti sarebbe difficile anche fare una qualche ontologia dell’attualità). Ora, se già c’era in Marx questa complessità del LUMPENPROLETARIAT, oggi non bisognerebbe fare altro che (ri)problematizzare il campo in altri termini, per dare conto alla Realtà della sua nuova condizione storica? In realtà proprio questo percorso ci porta ad una seconda domanda.
Altro quesito-problema (con relativa traccia di ricerca): si può parlare ancora del LUMPENPROLETARIAT? Esiste oppure si è fatto “altro”?
Marx ha scritto chiaramente che Luigi Bonaparte organizza il LUMPENPROLETARIAT, se ne mette a capo e prende il potere, utilizzandolo. Leon Trotsky, analizzando la vittoria di Benito Mussolini e del Fascismo in Italia, scrive che l’azione fascista è stata caratterizzata innanzitutto dalla capacità di mettere in moto le masse della crazed petty bourgeoisie and the bands of declassed and demoralized lumpenproletariat (probabilmente facendo già una distinzione che nel 18° brumaio di Luigi Bonaparte o nel Manifesto del Partito Comunista io non ho trovato così chiara). In ogni caso l’assunto principale rimane lo stesso, il LUMPEN viene organizzato ed utilizzato per prendere il potere, successivamente viene impacchettato in un impianto liberale (più o meno autoritario) e lasciato a sedimentare.
Oggi esiste ancora il LUMPENPROLETARIAT? Possiamo fare le stesse analisi di Marx o di Trotsky rispetto all’attuale situazione italiana (ad esempio)? Il punto in realtà potrebbe essere un altro. Esistono ancora le CLASSI SOCIALI? Una recente bibliografia (infinita ed in continua moltiplicazione, a dire il vero) ci dice che le CLASSI non esistono più. Proletariato, Borghesia. Nulla. La frantumazione del Welfare (che, in un modo o nell’altro, dava ancora un senso alle appartenenze sociali), la dissoluzione sistematica dei legami sociali, il lavoro immateriale, il terziario avanzato, ogni cosa narra la scomparsa delle CLASSI. Bene. Ma come si può dare il LUMPENPROLETARIAT senza Borghesia e Proletariato, fuori dalle (e senza le) CLASSI?
La risposta più semplice è che siamo tutti LUMPEN, siamo tutti potenziali “alleati” del bene o del male. Ma di quale “bene”, di quale “male”? Nel Manifesto del Partito Comunista si diceva del LUMPENPROLETARIAT che poteva essere trascinato dentro al movimento di una rivoluzione proletaria oppure farsi mettere al servizio delle mene reazionarie. Proletariato da una parte e Borghesia dall’altra. Oggi, anche ammettendo di essere tutti (forse) uomini-LUMPEN, quali sono le nostre possibilità? Quali i nostri riferimenti sociali?
Per questo motivo io credo che il LUMPENPROLETARIAT non esista più (il LUMPEN è morto, evviva il LUMPEN), così come si sono dissolte le CLASSI (disciolte nella fluidità del neoliberalismo). Così come dalla Sovranità si è passati all’analisi del Potere disciplinare (per intenderci). Rimangono però quegli istinti individuali di auto-conservazione (socialmente trasversali), quella capacità a farsi organizzare dalla violenza, quella tendenza all’annientamento dell’altro perché visto e vissuto come un potenziale competitore (l’Italia agli italiani, l’Inghilterra agli inglesi). E che cosa è, questo, se non l’impianto antropologico-sociale-culturale-politico del neo-liberalismo (che proprio il Lessico di Biopolitica, a mio parere, a messo chiaramente in evidenza)?
Potrebbe essere questa la traccia da seguire, la trasformazione della Realtà in un Panopticon dove ogni Essere umano diventa la “torre centrale” che osserva tutto, scegliendo di intervenire dove ritiene opportuno (bruciando un indiano, salvando un altro Essere umano che sta annegando come in qualche spot televisivo). E su questo dovremmo ragionare, forse. Su quegli Esseri umani che, oggi, non sono “torre centrale” (o Quadro?) e piuttosto cercano una via di fuga scegliendo di (ri)costruire legame sociale.
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