Ha scatenato un mese di polemiche questo intervento di Roberto Benigni al Festival di Sanremo, ripreso qualche giorno fa dall’interessante contributo (da noi già citato) di Wu Ming che ricostruisce la Storia del nostro inno nazionale (dimostrando come, in realtà, faccia riferimento ad episodi che con l’Unità d’Italia c’azzeccano poco e niente). La cartina di tornasole utilizzata da Wu Ming è l’articolo di Alberto Mario Banti pubblicato da Il Manifesto il 20 Febbraio (che ha suscitato numerose reazioni, alcune anche molto violente). Banti, in sostanza, accusa: “con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale“. Perchè la sua lezione farebbe discendere il nostro “chi siamo” dai Romani, dalla Lega Lombarda, dai Vespri sicialiani e da Balilla (“ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci“). Tutti Eventi che, con l’Unità d’Italia, non avevano nulla a che vedere. Anzi, in certi casi erano rivolti contro gli stessi Piemontesi. Attenzione al neo-nazionalismo, conclude Banti, perchè si annida sempre nel nostro ventre. E, a vedere i festeggiamenti per il 17 Marzo, forse non ha avuto torto. Evocare con tanta enfasi l’auto-incoronazione di un Re (Vittorio Emanuele II) come momento fondamentale del nostro “chi siamo“, sembra davvero fuori epoca. Siamo così deboli che basta un sventolio di bandiere per riempire il vuoto di Comunità e di Terra che abbiamo.
Criticare Roberto Benigni, però, è un pò come provare a criticare (seppur bonariamente) Roberto Saviano. Quasi impossibile (si farebbe “Lesa maestà“, scrive provocatoriamente Il Fatto Quotidiano). L’immaginario collettivo trasforma troppo facilmente gli Esseri umani in “manifestazioni eroiche dello Spirito”. La ragione è semplice: è fin troppo comodo delegare la propria creatività ad altri piuttosto che praticarla quotidianamente per provare a trovare alternative di Vita. Troppo comodo stare davanti alla TeleVisione, partecipare all’audience oppure leggere un libro, senza esserne direttamente protagonisti.
Ad ogni modo, tornando all’argomento, un filo spinato divide due territori: patriottismo e nazionalismo. Anche assumendo (senza dare nulla per scontato, perchè di dubbi ce ne sono fin troppi) che uno sia cattivo e l’altro buono, il cuore del discorso sembra essere un altro. Come, giustamente, hanno fatto notare molti commentatori: siamo in piena euforia “italiana” senza renderci conto di cosa questo voglia dire. Non abbiamo mai fatto i conti con le nostre brutalità in Grecia, nella ex Jugoslavia ed in Africa. Tutto è stato censurato ed insabbiato, anche grazie (e, forse, a causa) dell’amnistia togliattiana. Wu Ming ricorda che la “Nazione” nasce, romanticamente, dall’intreccio idealtipico di Suolo e Famiglia (anche Engels parla di questo legame ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato). Questa è l’idea “conservatrice” della Patria. Ora, è su questo connubio costituente si dovrebbe ragionare. Stato/Patria/Nazione, Suolo e Famiglia sono elementi che si riconfigurano nell’attualità attraverso il Governo neoliberale dell’Emergenza. E’ questa nuova modalità che, da un lato, crea forme sociali di Comunità-Territorio (progressiste, come in Val di Susa; reazionarie, come la Lega Nord) che sostituiscono i legami Suolo-Famiglia e dall’altra genera una sorta di neo-nazionalismo identitario e poco incline alla riflessione. Basta una Bandiera per sentirsi parte di qualcosa, nel bene o nel male.
Di seguito Il Leone del Deserto, film diretto da Moustapha Akkad con Anthony Quinn censurato in Italia nel 1982 perché, secondo l’allora Primo Ministro Giulio Andreotti, “danneggia l’onore dell’esercito“.
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Qui una interessante intervista ad Alberto Mario Banti.