Otello burattino: Ma qual è la verità? E’ quello che penso io de me, o quello che pensa la gente, o quello che pensa quello là lì dentro [indica il burattinaio]
Jago burattino: Cosa senti dentro di te? Concentrati bene… cosa senti, eh?
[pausa di silenzio]
Otello burattino: Sì, sì, si sente qualcosa che c’è!
Jago buratinno: Quella è la verità! Ma sssssshhh… [si porta l’indice sulle labbra] non bisogna nominarla, perchè appena la nomini, non c’è più…
(Cosa sono le nuvole?, regia di Pier Paolo Pasolini, 1967)
Ve lo ricordate? A me è capitato di rivederlo qualche sera fa. Cosa sono le nuvole?, un capoloavoro del cinema Italiano. Pasolini mise sullo stesso palco Totò, Ciccio Ingrassia, Franco Franchi, Laura Betti, attori di avanspettacolo, maschere come Pulcinella, attori bistrattati e violentati dal cinema di massa degli anni 50 e 60. Attori che ora appartengono al mondo delle ombre. Pasolini provò a ridarli dignità, e provò a farli essere loro stessi, come sempre tentava di fare con chi lavorava nei suoi film. Con questa pluriannale pratica Pier Paolo scoprì così che erano attori fusi con il loro personaggio, con la loro produzione artistica, con la maschera che si erano costruiti addosso. Non esite un Totò diverso dal ruolo che impersona, nel cinema/vita di Pasolini. Con lo stesso principio Pasolini faceva recitare nei suoi film attori comuni – presi dalla strada – come Ninetto Davoli (il tenero Otello del film) con attori professionisti.
All’Università mi hanno insegnato che la modernità ha negato le cose nascoste, profonde, come l’ IO. Lo Strutturalismo, il Decostruzionismo, la Psicanalisi ecc han detto quello che Pirandello si sforzava di rappresentare nei suoi lavori. Siamo prodotto, il risultato di fattori contingenti, del nostro apparato simbolico, di casualità complesse, del nostro sistema di vita, della nostra cultura, della nostra classe di appartenenza, dei rapporti fra struttura e sovrastruttura. Ognuno recita a soggetto, copioni non scritti da noi. Shakespeare diceva che il mondo è un palcoscenico e noi siamo comparse. I nostri desideri sono i desideri del mondo (crf il desiderio triangolare), le nostre spettative quelle degli altri, i nostri sogni non sono i nostri. Non c’è più spazio per niente, l’autentico ad una analisi matura è nient’altro che l’inautentico, anche lo stesso amore (vedi il testo della colonna sonora del film, di Pier Paolo Pasolini e Domenico Modugno). Quindi, Cosa sono le nuvole? è quasi una via di fuga per Pasolini, forse che in quel silenzio, nella scena finale del film, lontani dalla maledetta struttura (i simboli, il palco, il pubblico, l’apparato che ci circonda e ci è dentro) si possa scorgere la nostra vera interiorità, ciò che non fa parte del mondo, in uno slancio di divina libertà. Un assaggio mistico, batailliano, nient’altro, una intuizione che scompare nel momento stesso in cui nominiamo questa verità sommersa, nel momento stesso in cui cerchiamo di dire cos’è, di formarizzarla con un discorso. Illusoria come l’amore? L’ Io e l’amore, per Pasolini, diventano le grandi mensogne borghesi. Come non essere daccordo?
Ed ecco che in questo amaro, crudo film, questa delicatissima allegoria sulla vita, dove neanche tutta la poesia di Pasolini può addolcire questa oscura scoperta recente, L’Otello di William Shakespeare può essere rappresentato anche da un teatro dei burattini. Nel film, Iago e Otello, marionette dotate di vita propria (come quelle di Mangiafuoco di Pinocchio) agiscono secondo il copione che il destino attribuì loro, assieme agli altri personaggi del dramma, manovrati da una cinica ed indifferente mente divina (il Dio-burattinaio) che li controlla e dona loro la vita movendo i fili a cui sono attaccati. Le loro personalità sono dettate da un copione, le loro azioni guidate dal Dio-burattinaio, regista della loro vita. ed e così che Iago, connotato da un viso cromaticamente verde dalla cattiveria, inganna Otello provocando la sua disperata gelosia, l’ira ed il tentativo di uccidere Desdemona. Di fronte a tanta cattiveria, il volgo – il vituperato e allo stesso tempo amato volgo di Pasolini, il volgo che compare anche in Uccellacci e Uccellini – che fa da pubblico allo spettacolo, insorge a difesa di Desdemona, linciando le due marionette. Buttate nell’immondizia, verranno portate in una discarica da un nettrubino (Domenico Modugno). Ma è proprio lì che abbandonate a se stesse, per la prima volta a contatto con la realtà, tra i rifiuti, la merda, la sporcizia (il mondo materiale?) faranno una importante scoperta; addolcendo il loro decesso contempleranno la perfezione e la bellezza delle nuvole (il mondo ideale?), misteri sconosciuti per la loro misera condizione di marionette. Non conta solo il marxismo di Pasolini qui. Affancarsi dai bisogni materiali è l’ideale marxista, tornando al lavoro non alienato. Ma qui per me c’è ben altro. C’è l’applicazione di una scoperta. Sembra che non ci si sia spazio per autenticità, neanche nei più fervidi sogni di ugualianza sociale del regista. Pasolini realizza un dramma shakesperiano senza fare una ecatombe, usando solo un po’ di poesia. Per il volgo che è la società italiana, ma di più, umana, non c’è speranza, essi non contempleranno mai le nuvole. Essi giudicano, vivono, si muovono, ignari dei fili da cui sono mossi e di cui mai si renderanno conto. Qui l’economia, le borgate, il fascismo mediatico pasoliniano, la stessa riproduzione sociale non conta più niente. In oriente direbbero che tutto si riduce a maggiore o minore consapevolezza delle cristallizzazioni e delle illusioni che ci muovono. Tutto è struttura. Le marionette, solo nella discarica, ma di più, al momento della morte, sono finalmente rimaste senza fili. Non c’è libertà, in vita. La stessa paorla libertà è un concetto da decostruire.
L’ultima scena del film si chiude nella discarica con le parole di Totò-Iago, sdraiato in discarica accanto a Otello-Davoli, che osserva il cielo, le nuvole, e afferma:
Ah, meravigliosa e struggente bellezza del creato……
parole strane per una marionetta. C’è tutto il paternalismo di Pasolini qui. Tutto il San Francesco di Uccellacci e Uccellini. La sua ultima speranza. Che anche i burattini possano contemplare le nuvole. Parole che sono il testamento spirituale dello stesso Totò, che morirà nell’Aprile dello stesso anno, il 1967. E’ il suo ultimo film.
Che cosa sono le nuvole è una favola, politicamente ininfluente (se non in senso utopistico) come quelle di Fedro ma elegante come quelle di La Fontaine. Pasolini aveva già polemizzato con lo strutturalismo, che disegnava chiuse rappresentazioni formali: “Dunque: quali le conclusioni? – scrisse Enzo Siciliano. – Rifiuto sistematico del neoilluminismo: sia della neoavanguardia (quale suo vistosi corrispettivo letterario), sia delle tecniche propagandistiche ormai in uso nell’editoria, a esempio. Pasolini antivedeva un rovinoso avvenire: un avvenire irto di difficoltà sociali nelle quali vecchi e consolidati schemi, antiche certezze (il ‘pacifismo democratico’, ad esempio) non avrebbero più avuto senso.” (Vita di Pasolini, Rizzoli 1978, pp. 292-293)