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Nella foto di Alessandro Digaetano, distribuzione sociale del puro e dell’impuro nella Cina postmoderna.
Entrambi gli opposti princìpi sembrano in effetti godere di una dimora fissa. Da un lato il mondo maestoso e ordinato del re, del sacerdote e della legge, dal quale ci si tiene a distanza di rispetto; dall’altro l’ambito losco e infamante del paria, dello stregone e del colpevole, dal quale ci si allontana con orrore. A coloro che, per natura, purificano, guariscono e perdonano, ai mediatori di santità, si oppongono coloro che, per essenza, insozzano, avviliscono e sconvolgono, gi agenti del peccato e della morte. Le vesti del principe, splendide, rutilanti d’oro e di pietre incorruttibili, non sono che la luminosa contropartita dell’abietto putridume e delle carni ridotte a liquame della decomposizione. Il sovrano e il cadavere, così come il guerriero e la donna insanguinata a causa delle mestruazioni, incarnano infatti al massimo grado le forze ostili del puro e dell’impuro. E’ la morte a dare lordura, è il principe a liberare da essa. Nessun contatto tra l’uno e l’altra è lecito. Gli esseri investiti di santità, come il cane polinesiano, le cose che ne appaiono fecondi ricettacoli, come i churinga australiani, vengono allontanati, mediante gli interdetti più severi, da tutto ciò che passa per focolaio d’infezione: spoglie o sangue mestruale. […] Similmente, il gran sacerdote dei Cafri non deve né visitare i cimiteri, né percorrere i sentieri che portano ai campi dove imputridiscono i cadaveri; l’ingresso nell’abitazione in cui è avvenuto un decesso gli è proibito fin quando non vi sia stata eretta l’immagine del defunto, che dimostri così che egli è diventato una forza benigna e venerabile. Nella tragedia di Euripide, Artemide abbandona Ippolito moribondo: ad una dea non è permesso vedere un cadavere; l’ultimo respiro dei moribondi non deve insozzare uno sguardo puro. Ad Atene, durante la festa delle Anteserie, quando le anime dei morti salgono dal mondo infero e percorrono le strade della città, i templi vengono cinti da corde affinchè esse non possano avvicinarvisi.
Roger Caillois, l’Homme et le sacré, traduzione di Ruggero Guarino