Darwin e Adam Smith


Il seguente brano è tratto dall’ultimo libro di Stephen Jay Gould, La struttura della teoria dellevoluzione (in questo link  puoi ordinare il libro, curato da Telmo Pievani, ad un prezzo scontato). E’ un’opera enciclopedica e pluridisciplinare, una summa di tutta la sua produzione, in cui il noto studioso rivisita in maniera sistematica la teoria dell’evoluzione alla luce degli ultimi studi e delle nuove prospettive (anche grazie ai suoi propri contributi, cioè l’evoluzione multilivello, la teoria degli equilibri punteggiati, l’exattamento). In questo caso,  in un pregevole quadro di sociologia della scienza, Gould si sofferma su alcune coordinate del pensiero di Darwin, specie quel retroterra individualistico e sintetico tipico dell’Inghilterra vittoriana, utile certo a partorire la straordinaria teoria dell’evoluzione, ma da analizzare attentamente per poter ristrutturare – in alcuni casi, profondamente – la teoria, dopo circa 150 anni di vita  (la traduzione della sezione è a cura di Alessandro Stella).
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Molti scienziati non riescono a riconoscere che tutta l’attività mentale si verifichi in un contesto sociale, e che una varietà di influenze culturali deve quindi influenzare tutto il lavoro scientifico. Coloro che notano questo necessario collegamento di solito considerano il “radicamento culturale” [cultural embeddedness] come una componente invariabile e sempre negativa di indagine – un set  di pregiudizi [biases] che può solo distorcere le conclusioni scientifiche, e che perciò deve essere identificato e combattuto. Ma le influenze culturali possono anche facilitare il cambiamento scientifico, certamente per motivi accidentali, ciononostante con risultati cruciali comunque positivi come il principio dell’exattamento [exaptive principle] che gli evoluzionisti soprattutto dovrebbero comprendere e onorare!

L’origine del concetto di selezione naturale  di Darwin fornisce il mio esempio preferito per parlare del contesto culturale come promotore. Alla relazione di Darwin con Malthus è stata riconosciuta e concessa la corretta importanza sin dall’inizio, se non altro perché Darwin stesso aveva esplicitamente indicato e onorato questa fonte. Ma se Darwin aveva bisogno di Malthus per comprendere il ruolo centrale della lotta continua e grave per l’esistenza, aveva anche bisogno della scuola correlata di economisti scozzesi – i teorici del laissez-faire, incentrati su Adam Smith e la Ricchezza delle Nazioni (pubblicato la prima volta nel corso del rivoluzionario e propizio anno del 1776) – di formulare il principio ancora più fondamentale della selezione naturale stessa. Ma l’impatto dell’economia di Adam Smith non ha colpito Darwin con la forza di un eureka; i concetti strisciarono su di lui con quel modo convenzionale della maggior parte delle influenze sulle nostre vite. Quanti di noi possono definire un ammonimento preciso dei genitori, o una provocazione particolare dei nostri pari, come centrale nella costruzione delle nostre più profonde convinzioni?

Silvan Schweber S. (1977), un fisico e storico della scienza, ha esaminato l’influenza su Darwin partendo dalla scuola di Adam Smith degli economisti scozzesi –  a cominciare dai primi anni del 1830, e culminante con il suo studio intenso di queste idee, mentre cercava di capire il ruolo dell’azione individuale nel corso delle settimane appena precedenti la sua intuizione “malthusiana” del settembre 1838.  Io credo che Schweber abbia trovato la chiave della logica della selezione naturale e il suo ricorso in Darwin, nel duplice ruolo di ritrarre eventi quotidiani ed eventi tangibili come materia di ogni evoluzione (il polo metodologico), e capovolgendo il comodo mondo di Paley [l’autore della metafora dell’orologiaio divino, contro cui Darwin si scagliò, n.d.t] invocando il più radicale degli argomenti possibili (il polo filosofico). In effetti, vorrei avanzare la pretesa ancora più forte che la teoria della selezione naturale sia, in sostanza, l’economia di Adam Smith  trasferita alla natura. Dobbiamo notare anche la deliziosa (e quasi dannosa) ironia che vi regna in tal senso.

Gli esseri umani sono agenti morali, e non possiamo sopportare l’ecatombe (1) — la morte attraverso la concorrenza di quasi tutti i partecipanti — che occorrerebbe consentendo la concorrenza  individuale di uno sfrenato e puro laissez-faire. Perciò, l’economia di Adam Smith non funziona in economia. Ma alla natura non è necessario operare secondo le norme della moralità umana. Se, nella natura amorale, l’adattamento di uno richiede la morte di migliaia, allora così sia. Il processo può essere disordinato e dispendioso, ma la natura di tempo ne ha in abbondanza, e l’efficienza massima non ha bisogno di distinguersi nei modi (In una delle sue lettere più famose, Darwin scrive a Joseph Hooker nel 1856: “quale libro potrebbe scrivere un cappellano del diavolo sul goffo, sprecone, cieco, basso, e orribilmente crudele operato della natura!“). L’analogo del puro laissez-faire può e deve operare in natura, e il meccanismo di Adam Smith gode quindi della sua più bella, forse la sua unica, piena applicazione, in questo regno non analogo al dominio che ha suscitato la teoria originale stessa.  L’argomento principale del laissez-faire si fonda su un paradosso. Si potrebbe supporre che il percorso migliore per una economia massimamente ordinata emerga da un’analisi condotta dai più grandi esperti tutti riuniti, dando loro pieni poteri per eseguire le loro raccomandazioni (il più vicino analogo umano alla divinità solitaria di Paley), seguita dal passaggio di leggi per implementare queste decisioni razionalmente derivate di livello superiore. Ma Adam Smith sosteneva che una società dovrebbe seguire la via opposta: un approccio migliore per questo fine desiderato. I legislatori ed i regolatori dovrebbero farsi da parte e permettere ad ogni individuo di lottare per il profitto personale in modo sfrenato — una procedura che sembrerebbe garantire il risultato opposto a quello di caos e disordine. Consentendo il meccanismo di una lotta personale per correre liberamente, le buone prestazioni eliminano il meno efficiente e creano un equilibrio dinamico tra di loro. La ricaduta, per la società, produce un’economia massimamente ordinata e prospera (compresa l’ecatombe di imprese più o meno morte). Il meccanismo funziona con una sorta di lotta sfrenata per una ricompensa personale tra gli individui. Schweber per questo tema centrale dell’economia politica documenta numerose fonti nelle ampie letture di Darwin. Nel maggio del 1840, per esempio, Darwin incontra i seguenti passaggi  nei Principi di Economia Politica di J.R. McCulloch (2 ° edizione del 1830, cfr.  Schweber, 1980, pag 268.):

Ogni individuo esercita costantemente se stesso per scoprire i metodi più vantaggiosi di impiegare il proprio capitale e lavoro. E’ vero che si tratta del proprio vantaggio, e non di quello della società, che si ha in obiettivo; ma una società non è nient’altro che un insieme di individui, ed è chiaro che ciascuno, perseguendo costantemente il proprio ingrandirsi, sta seguendo una linea di condotta che è più per il vantaggio pubblico (p. 149). L’autentica condotta politica è quella di lasciare gli individui liberi di perseguire i propri interessi nel loro modo, e mai perdere di vista il “pas trop maxim gouverner” [non governare troppo]. E’ da questo spontaneo e libero…  sforzo personale nel migliorare le proprie condizioni… e da loro soltanto, che le nazioni diventano ricche e potenti (p. 537).

La teoria della selezione naturale solleva questa intera struttura esplicativa, virgo intacta, e quindi si applica lo stesso schema causale alla natura, un cliente difficile che può sopportare un’ecatombe di morti necessari per produrre il miglior sistema politico come un epifenomeno. Singoli organismi impegnano una “lotta per l’esistenza” come l’analogo di imprese economiche in concorrenza fra di loro. Il successo riproduttivo diventa l’analogo del profitto poiché, più ancora che nelle economie umane, davvero non si può portarlo con noi in natura. Infine, continuando l’analogia, la detronizzazione di Paley segue il più radicale percorso ironico. Poiché, nell’ideale laissez-faire economico, tutte le imprese (purificate nel fuoco spietato della concorrenza) diventano eleganti e ben progettate, mentre il sistema politico intero raggiunge un equilibrio ottimale e di coordinamento. Ma nessuna legge opera esplicitamente in modo da imporre un buon “disegno” o un “equilibrio generale” usando un “fiat…”, proprio nessuna. La lotta tra le imprese rappresenta l’unico processo causale in opera.

Inoltre, questa causa funziona a un livello inferiore, e solo per il vantaggio di singole imprese. Solo come risultato accessorio, come conseguenza collaterale, emergono un “buon disegno” e un equilibrio complessivo. Adam Smith, nel coniare una delle più memorabili metafore della nostra lingua, ha attribuito questo processo all’azione di una “mano invisibile”. Nei termini moderni della teoria gerarchia [Gould parla della teoria del suo amico e collega Niles Eldredge, n.d.t.], si potrebbe dire che l’ordine globale si pone come un effetto di causalità verso l’alto dalla lotta individuale. Possiamo ora ottenere un po’ di chiarezza nella definizione, ma non possiamo competere con la prosa originale. Nelle sue parole più famose, Smith così scrive nella Ricchezza delle nazioni (Libro 4, Capitolo 2):

“Egli intende perseguire solo il proprio guadagno, ed è in questo, come in molti altri casi, guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non era parte delle sue intenzioni… Non ho mai considerato bene coloro che asseriscono di agire per il bene pubblico…. Non ho mai considerato bene coloro che sono interessati al commercio per il bene pubblico.”

Ma Paley ci aveva assicurato, in 500 pagine fittamente sostenute, che le analoghe caratteristiche del mondo naturale — la buona progettazione di organismi e l’armonia degli Ecosistemi —, non solo dimostrano l’esistenza di Dio, ma ne illustrano la natura, la sua personalità, e la sua benevolenza. Nell’uso di Darwin degli argomenti di Adam Smith, queste caratteristiche della natura diventano epifenomeni, senza alcuna diretta causa. Le stesse osservazioni di Paley, che aveva venerato come la più gloriosa opera di Dio, la prova indiscutibile della sua preoccupazione benevola, “accade proprio” come conseguenza di cause operanti ad un livello inferiore tramite la lotta fra gli individui. E, come il più crudele scherzo, questa causa di livello inferiore sembra suggerire una lettura morale esattamente opposta alle speranze alte di Paley per il significato dell’ordine complessivo — per la lotta naturale degli individui che inseguono i propri benefici, e nient’altro! Le osservazioni di Paley non potevano essere biasimate — gli organismi sono in effetti ben progettati e gli ecosistemi sono in armonia.  Ma le sue interpretazioni non potrebbero esser più sbagliate, poiché queste caratteristiche non si presentano come prodotti diretti della divina benevolenza, ma solo come epifenomeno di un processo opposto sia nel livello di azione che come intenzione: gli individui che lottano per se stessi.

Scrivo questo capitolo con due obiettivi in ​​mente: in primo luogo, spiegare le principali fonti e il contenuto della tesi di Darwin, e in secondo luogo,  individuare le rivendicazioni veramente essenziali del darwinismo, per separarli da un più ampio insieme di affermazioni più periferiche e di incomprensioni, in modo da poter classificare e valutare il ruolo delle proposte moderne e dei dibattiti per la profondità della loro sfida alla logica centrale della  nostra professione di ortodossia. Per adempiere a questo secondo obiettivo, cerco di individuare una serie di impegni minimi necessari di coloro che si definiscono “darwiniani”. Io sostengo che questo account minimo presenti una serie di tre affermazioni generali e i loro (molto ampi) corollari. Utilizzo quindi questo quadro per organizzare il resto di questo libro, perciò dedico i capitoli storici di questa prima parte alle discussioni “pre-” e “post-“ darwiniane dei tre argomenti. Poi, in seguito a un capitolo sulla costruzione della Sintesi Moderna come ortodossia darwiniana del Ventesimo secolo, rivisito i tre argomenti nella seconda parte, questa volta esaminando le sfide attuali per il loro dominio esclusivo.

Interpretando la radicale teoria di Darwin come risposta a Paley (in realtà una inversione), sulla base di una acquisizione dell’argomento centrale del laissez-faire economico di Adam Smith, credo che possiamo raggiungere una migliore comprensione delle rivendicazioni essenziali del darwinismo e della selezione naturale. In primo luogo, e soprattutto, cogliamo la centralità teorica della conclusione di Darwin che la selezione naturale funziona attraverso una lotta tra i singoli organismi per il successo riproduttivo. La scelta di Darwin dei livelli (il suo tentativo di limitazione della causalità ad un solo livello) diventa non più capricciosa e stravagante, ma, piuttosto, al centro della logica di un argomento che rende la prima “prova” della benevolenza diretta di Dio come un epifenomeno di processi causali che agiscono per motivi apparentemente contrari a un livello più basso.

In secondo luogo, riconosciamo il ruolo centrale dell’adattamento come il principale fenomeno che richiede una spiegazione causale — poiché la buona progettazione degli organismi viventi aveva anche fissato il problema centrale per la tradizione inglese nella teologia naturale, la visione del mondo che Darwin rovesciò derivando lo stesso risultato da un meccanismo opposto. Questi due principi (il funzionamento della selezione come lotta degli organismi come agenti attivi, e la creatività della selezione nella costruzione di cambiamenti adattivi) sono sufficienti a convalidare la teoria in senso microevolutivo e osservazionale. Ma Darwin nutrì obiettivi molto più ambiziosi (come illustra la precedente trattazione sulla sua metodologia, cfr.  pagine 97-116): egli ha voluto promuovere la selezione naturale per estrapolazione, come fonte preminente del cambiamento evolutivo a tutte le scale e livelli, dalle origini dei phyla al flusso e riflusso delle diversità attraverso i tempi geologici.

Così, il terzo principio focale del tripode darwiniano di postulati essenziali, e cioè la premessa estrapolazionista, sostiene che la selezione naturale, lavorando passo dopo passo al livello di organismi, può costruire la panoplia dell’ intero e vasto cambiamento evolutivo cumulando i suoi piccoli incrementi attraverso l’intero tempo geologico. Con questa terza premessa di estrapolazione, Darwin trasferisce alla biologia il tema uniformitarista che fissava la visione del mondo del suo guru, il geologo Charles Lyell.

(1) “ecatombe”, una parola sconosciuta in inglese, che dovrebbe entrare nel vocabolario di tutti gli evoluzionisti come una descrizione meravigliosamente appropriata per questo aspetto fondamentale del darwinismo. Una ecatombe è, letteralmente, un’offerta di cento buoi in sacrificio. Eppure, anche in Omero, la parola era venuta a designare qualsiasi grande numero di decessi sostenuto come un sacrificio per qualche preventivato beneficio, una buona descrizione della selezione naturale. E la parola “ecatombe” è leggermente più facile da pronunciare di “carico di sostituzione.” [“substitutional load”, Gould si riferisce alle teorie di Kimura, n.d.t.]

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