“La vita felice è la vita che non può essere perduta. La vita terrestre è una mors vitalis oppure una vita mortalis , una vita inscritta nella morte. Tale vita diventa una costante paura.” E poco oltre: “ove non c’è morte e di conseguenza non c’è futuro, è possibile vivere sine angore curae”
Questo è ciò che si legge in alcune righe del saggio sul concetto di amore in Agostino che Hannah Arendt scrisse in occasione del conseguimento della sua laurea, sotto la tutela di Jaspers. L’incontro con Heidegger era già avvenuto. La Hannah che si approccia all’interpretazione dell’amore agostiniano è già stata segnata intellettualmente ed umanamente dall’incontro con l’autore di Essere e Tempo ed il lavoro a cui ci stiamo riferendo ne è una testimonianza. Tramite la riflessione sui concetti agostiniani, Arendt ,infatti, palesa un’attenzione particolare ai temi cari ad Heidegger: il problema della temporalità, la questione della posizione ontologico-esistenziale della morte, la dimensione intramondana dell’esistenza. Il brevissimo passo sopra riportato è una conferma di tale tendenza arendtiana e, allo stesso tempo, è esemplificativo dell’approccio della Nostra alla questione Agostiniana. Agostino è un autore ed un uomo controverso; le sue opere sono indissolubilmente legate alle fasi della sua vita e ai diversi gradi di consapevolezza che acquisisce rispetto alla propria esistenza e, quindi, rispetto all’esistenza dell’uomo e alla sua posizione nei confronti del creato. Fare un’analisi unitaria della sua opera senza ricostruire cronologicamente le sue idee è un lavoro arduo. Hannah Arendt è la protagonista di tale impresa. Il suo saggio è un’ analisi del concetto di amore che viene affrontato non tanto dal punto di vista metafisico ed ontologico, quanto,invece,nei suoi aspetti fenomenologici ed esistenziali.
L’amore è inclinazione verso qualcosa che è già conosciuta come proprio “bonum” per cui l’appetitus (o amor) rappresenta la possibilità di poter possedere il proprio bene. L’amor che tende a possedere, però, si tramuta nella paura di perdere ciò che si possiede o di non raggiungere affatto l’oggetto del proprio desiderio. La dimensione temporale dell’uomo è, quindi, origine della paura; il futuro ignoto si traduce nell’impossibilità di godere del presente. La vita stessa, costantemente minacciata dalla morte, è sempre nella condizione di perdere se stessa. Soltanto una vita senza morte e quindi senza futuro è priva di angoscia e paura. Il “bonum” dell’amore, allora, è solo ciò che non può essere perduto: il presente assoluto dopo la morte, che per la vita terrena consiste in un futuro assoluto. Vi è quindi una distinzione tra mondanità temporale ed eternità che porta Agostino a distinguere due tipi di amor: la cupiditas e cioè il falso amor che si aggrappa al mondo; la caritas o amor giusto, che aspira all’assoluto.
“Vivere nella cupiditas significa fare del mondo un deserto invece che una patria, rendendolo vuoto ed estraneo a ciò che l’uomo cerca.”
“Vivendo nella cupiditas l’uomo diventa mondo”. L’essere mondo è la condizione di dispersio di cui parla Agostino. “Il desiderio vive nello smarrimento del proprio sé, che si disperde e così dissipa la paura. Tale distrazione è la vera e propria fuga da se stessi.”
Ritroviamo noi stessi ponendo la nostra stessa esistenza come oggetto di ricerca: cercare se stessi vuol dire trovare Dio. Ma qual è il rapporto tra individuo mondano e Dio? L’uomo è Creatura; Dio è Creator. Siamo nella seconda parte del saggio e l’analisi della Arendt, dopo una descrizione iniziale del sentimento amoroso, si orienta verso l’approfondimento di questo rapporto. La relazione tra Creator e Creatura è la relazione tra assoluto e contingente in cui, però, quest’ultimo è generato dal primo in un controverso rapporto di dipendenza. La strada per svelarne la natura è quella della “memoria” ed il suo legame con la temporalità. Anche in questa fase del saggio l’approccio è prevalentemente descrittivo. La ricerca del proprio essere giunge al riconoscimento dell’ante (il Creator) attraverso la retrospezione nella memoria. L’ autrice lascia poco spazio alle questioni metafisiche che quest’argomento implica, dedicandosi prevalentemente a chiarire qual è la posizione della Creatura rispetto all’eternità e all’assoluto di colui che crea.
La terza fase del saggio è intitolata “Vita Socialis”. La totalità della vita è la vita considerata anche come dimensione sociale. Gli uomini sono uguali fra loro perché sottomessi tutti allo stesso destino di morte, e sono uguali al cospetto di Dio in quanto peccatori. Siamo nella fase conclusiva del lavoro e Arendt ci guida attraverso i temi del Civitate Dei e della distinzione tra Civitas terrena e Civitas dei. Queste ultime venti pagine riescono a contenere il cuore della filosofia agostiniana. Infatti la riflessione sulla vita socialis diventa mezzo per introdurre la dottrina della Grazia. L’annuncio di salvezza rende esplicita l’uguaglianza fra gli uomini, che non è più quella della società di Adamo e quindi mortifera e lontana da Dio, ma è l’uguaglianza della Grazia ,che è fuori dal mondo e quindi conferisce un nuovo significato all’essere-insieme degli uomini: il difendersi dal mondo stesso. Una volta conclusa la lettura del saggio ci si rende conto che siamo dinanzi ad un lavoro di interpretazione dell’opera agostiniana notevolmente elaborato. Tutti i temi cruciali nella produzione filosofica del vescovo d’Ippona trovano un punto di convergenza nel sentimento dell’amore e nelle sue dinamiche. L’amore è fine ma è anche motore; è fenomeno ,strumento e risultato del rapporto tra Creatura e Creatore.
La traduzione italiana dell’opera, pubblicata da SE nel 1992, è stata curata da Laura Boella che arricchisce il volume con un suo saggio dal titolo “Amore comunità impossibile in Hannah Arendt”.
La citazione “Vivere nella cupiditas significa fare del mondo un deserto invece che una patria, rendendolo vuoto ed estraneo a ciò che l’uomo cerca.” non è corretta. Nel testo tradotto de “il concetto d’amore in Agostino” si legge “Vivere nella caritas significa fare del mondo un deserto invece che una patria, rendendolo vuoto ed estraneo a ciò che l’uomo cerca.” che significa l’esatto contrario. In nota, peraltro, viene riportato un passo del trattato agostiniano dedicato al commento del Vangelo di Giovanni in cui si afferma : Mundus iste omnibus fidelibus quaerentibus patriam sic est, quomodo fuit eremus populo Israeli” che vale ” questo mondo per tutti i fedeli che cercano una patria è tale quale fu il deserto per il popolo d’Israele”
La citazione “Mundus iste omnibus fidelibus quaerentibus patriam sic est, quomodo fuit eremus populo Israeli” è tratta da “In Epistolam Ioannis ad Parthos” Tractatus septem.