Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Trilogia sentimentale: Tutte le anime-Un cuore così bianco-Domani nella battaglia pensa a me (Super ET)
— — —
“Domani nella battaglia pensa a me, quando io ero mortale, e lascia cadere la tua lancia rugginosa. Che io pesi domani sopra la tua anima, che io sia piombo dentro al tuo petto e finiscano i tuoi giorni in sanguinosa battaglia. Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori”
Javier Marías affida il titolo del suo romanzo a un passo del Riccardo III di Shakespeare. La scelta di tale citazione non è casuale, l’autore ci si sofferma e la ripropone più volte, evidenziando il forte legame tra il rimando shaksperiano e il romanzo stesso. La morte, la vita, la battaglia come metafora della vita, il peso dei ricordi e dei rimpianti che come piombo si posa sul petto di chi resta, di chi non muore, di chi continua a vivere. “Domani nella battaglia pensa a me” appare come una minaccia scagliata dal defunto nel mentre della sua dipartita. E’ un’ esortazione a non dimenticare, a non voltare la faccia alla morte. Scrivere della morte non è affatto conveniente. Se va bene si rischia che il lettore si affidi al romanzo con sospetto e inquietudine; se va male le probabilità che si abbandoni la lettura si fanno assai alte. Il punto nevralgico della questione, ciò che svela il motivo di questa mia arringa, risiede nel fatto che la Morte, oggi, fa una paura tremenda. Tutte le più grandi spiegazioni su di essa risultano obsolete. I ferventi cattolici si aggrappano alla consolante idea che “la morte è solo un passaggio, dopo si andrà nel regno dei cieli”, le filosofie new age, per le quali io nutro profondo sospetto, propongono invece la tesi della reincarnazione e così sia. Ma gli scettici, con cosa si consolano? Il capolinea della modernità è stato quello di svelare l’illusione, con le parole care a Nietzsche, di una grossa bufala. E ne paghiamo le amare conseguenze. Lo scrittore madrileno Javier Marias, vincitore di numerosi premi letterari, racconta della morte come un oratore che si affida al suo flusso di coscienza dinanzi a una platea seria e mal disposta al tema. La morte appare oggi il mistero dei misteri. Eppure, è un mistero di cui non si parla, non si deve parlare. Ecco che Marias ci prende per mano, e senza censure ci catapulta in una situazione che ha del paradossale.
Un appartamento a Madrid, d’inverno. Una donna e un uomo che si appresterebbe di lì a poche ore a diventare il suo amante per una notte, e un bambino di due anni, figlio della donna, che ostacola la loro notte di sesso perché irrequieto e non vuole lasciare la madre e andare a dormire. E poi la morte. Improvvisa, oscena, assurda, coglie la donna. L’uomo le rimarrà accanto, sul letto, incapace di guardarle il viso, di scorgerne i segni della morte e l’ultima cosa che vedrà della donna è la sua nuca. Facile, nell’era dell’ individualismo, non volerla guardare troppo da vicino, la morte. Già Verga, dopotutto, nei suoi romanzi, ci ha mostrato la ben nota maniera dei suoi personaggi di morire rivolti verso il muro. Non più tra le lamentazioni e i rituali di “una morte antica”, in cui il trapasso si vive pubblicamente come le nozze, bensì in solitudine, cosi che i parenti non si accorgano di quanta sia grande la paura di chi li sta abbandonando.
L’uomo, il protagonista, la voce del romanzo, si aggira in punta di piedi per l’appartamento come un leone chiuso in gabbia, alla ricerca di risposte. Fa e disfa ipotesi e congetture; tenta di rintracciare con poca insistenza il marito dell’amante; prepara del cibo al bambino per quando questi si sveglierà, e poi abbandonerà la casa, portandosi via il reggiseno impregnato dell’odore di lei “rimane l’odore dei morti quando non rimane altro di loro. Rimane quando rimangono ancora i loro corpi e anche dopo, una volta lontani dagli occhi e sepolti e scomparsi. Rimane nelle loro case fina a quando non le si fanno arieggiare e sui loro indumenti che ormai non si lavano più perché ormai non si sporcano e perché si trasformano nei loro depositari; rimane su un accappatoio, su uno scialle, sulle lenzuola, sugli abiti che per giorni e a volte per mesi per settimane e anni pendono dalle loro stampelle in mobili ignari”. E in tutto questo fluttuare in pensieri sconnessi e paure nascoste, il protagonista ci rivela che “il fatto che qualcuno muoia mentre tu continui a rimanere vivo ti fa sentire come un criminale per un istante”. Perché è vero che, quando qualcuno muore, chi gli sopravvive sente nascere dentro di se quel sottile e fastidioso senso di colpa, perché della morte noi sappiamo solo che è l’antitesi della vita, e la nostra modernità ci ha privato di qualsivoglia schermo protettivo. E allora il protagonista allontana i pensieri, ed esce da quella casa che non appartiene più a quella donna riversa sul letto , ma appartiene ai vivi. La morte ci impone anche una rivalutazione delle nostre vite, un ripercorrere i momenti con sguardo lungimirante. Essa Impone anche un riavvicinamento a coloro che, insieme a te, piangono il defunto “la morte di qualcuno avvicina in modo transitorio coloro che quel qualcuno lascia dietro di sè”
Comincerà cosi la ricerca delle persone che hanno abitato la vita della donna e il rapporto con chi l’ aveva preceduta: la memoria e il passato. Il destino si fa beffa degli uomini, li trita e li macina in una realtà fatta di solitudine e di amori oziosi ed evanescenti. Il silenzio della notte pesa sulle vite di tutti a Madrid, e il sonno dei giusti appare come una favola antica, di cui nessuno ha mai veramente assaporato l’essenza. Una rocambolesca realtà onirica, dove non si scorge alcuna linea che divide illusione e realtà, sospetto e certezza. Appare quasi superfluo, per Marias, metterci al corrente della diagnosi di morte della donna, perché quello che importa, in un’epoca seppur troppo voyeristica e curiosa, è pur sempre l’epilogo dei fatti. Entrando in punta di piedi nelle vite della famiglia della defunta, il protagonista vi scopre rancori e segreti, personaggi poco onesti e scheletri da lasciare chiusi negli armadi.
Sullo sfondo rimane la figura del bambino: ultimo baluardo di una modernità senza appoggi, sprovvista di protezione e muta dinanzi alla morte. Apparentemente il bambino sembra avulso dal contesto: egli non parla, è ancora troppo piccolo, e questa difficoltà ad esprimersi sembra essere la chiave di volta della nostra era: non esiste un linguaggio alla morte perché la morte è indicibile. Tutto si incastra perfettamente nel romanzo di Marias: il rifiuto della morte; la rigida e composta risposta del padre della donna ad un lutto doloroso; la rabbia di un marito che si scopre tradito, e infine la nebbia che tutto nasconde e che si porta via “ardori e ricordi”. Bisogna continuare a vivere, prenderne coscienza, e quando sorge l’alba continuare a occuparsi di altro.
Una interpretazione affascinante della morte, una visione e una tendenza come la intende Lei (e l’autore) “solitaria” .. al passo con questi tempi credo..
Suppongo che leggerò il libro Sig.ra Savino.
La morte, il vuoto, lo sconcerto, e poi la cancellazione fulminea e quasi irreale di tutti gli intrecci, le relazioni, i pensieri, i desideri ,le emozioni di quella esistenza che ,estinguendosi, li risucchia con sè, facendoli svanire per sempre e scomparire dalle vite degli altri. Di fronte a tutto ciò si resta attoniti e poi…si rientra nella battaglia con dentro solo il ricordo di quella vita di cui abbiamo fatto parte anche noi.
Tutto questo traspare chiaramente dalla tua recensione che rende bene il significato dell’opera di Marìas.:-)
anche tu oggi…in treno…(Eri bionda e bellissima)
Splendida recensione