Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica (Universale economica. Saggi)
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Questo libro è il frutto di riflessioni concernenti i campi della morale, del diritto e della politica in relazione alla società contemporanea. Il tema affrontato è quello dell’ “altro” visto come immigrato, come appartenente a minoranze etniche oppure come membro di gruppi e ceti sfavoriti. Per far emergere il pensiero dell’ autore ho pensato di mettere in evidenza il paragone delle sue elaborazioni con quelle di altri due studiosi: Schmitt e Rawls.
1. Un confronto con Schmitt.
1.1 I concetti di nazione e di democrazia.
Concetti molto importanti esposti da Habermas in questo testo, -o meglio, nella sua parte terza-, sono quelli di nazione e di democrazia ed egli confronta le sue concezioni con quelle di Schmitt. Carl Schmitt è stato uno studioso di diritto pubblico ed internazionale, e le sue teorie hanno rilevanza anche nel campo della filosofia della politica. Per Schmitt una nazione è una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni quali la lingua, il luogo, la storia ed un governo. La nazione o il popolo sono quindi un sostrato naturale dal quale prende le mosse l’ organizzazione dello stato. Quindi per questo autore, la volontà politica egemonica non ha alcun contenuto normativo ragionevole. Lo Stato, come forma di unità politica, è irriducibile ad ogni valutazione giuridica, si fonda invece su un qualcosa di irrazionale che sta al di fuori del diritto. La sovranità non è figlia di discussioni pubbliche e dell’intesa tra soggetti ma è l’ espressione di uno “spirito del popolo”.
E la democrazia è possibile solo come democrazia nazionale, ciò vuol dire che uno stato democratico presuppone sempre l’omogeneità nazionale dei suoi cittadini. Tutte le più importanti questioni morali concernenti l’ eguaglianza e la giustizia vengono ricondotte alla fattualità della stessa origine, etnica e di popolo, di ogni cittadino. E’ ovvio che quella Schmittiana è una concezione essenzialistica riguardo alla nascita ed al mantenimento dell’ organismo democratico. E la volontà politica è vista come una volontà di autoaffermazione collettiva di un popolo.
Schmitt si pone in contrasto con il repubblicanesimo giusrazionalistico a cui invece si rifà Jurgen Habermas. In questa tradizione il concetto di popolo e di cittadinanza nascono insieme al patto democratico. La nazione non viene considerata come una fattualità prepolitica, ma come il prodotto di un dialogo tra parti sociali. Questo studioso afferma: <<I partecipanti formano un’associazione giuridica di liberi ed eguali. La decisione di vivere in un regime di libertà politica equivale alla iniziativa di attivare una prassi costituente…La decisione iniziale di porsi democraticamente una legge può essere attuata solo a patto di realizzare quei diritti che i partecipanti devono mutualmente concedersi...>>.
Quindi Jurgen Habermas considera obsoleta la nozione tradizionale di nazione, e si riferisce ad essa come ad un libero contratto sociale tra etnie e gruppi sociali che si riconoscono in una “costituzione” comune. E s’intende come costituzione un corpo di leggi fondamentali create dalla sovranità del popolo, e perciò in democrazia, di solito per il tramite di una assemblea costituente. Ciò significa che a garanzia di legittimità, dei reciproci diritti fondamentali che i cittadini vogliono riconoscersi, vengono stabiliti principi e modalità di produzione giuridica che regolano durevolmente l’elaborazione del “sistema dei diritti”. Se pensiamo allo sviluppo della democrazia come ad una procedura e come ad uno sguardo orientato al futuro, sostiene Habermas, non ha senso riagganciare la formazione della volontà politica ad un consenso -passato e prepolitico- da parte di gruppi e cittadini aventi stessa nazionalità. Per giungere ad un razionale accordo normativo e giuridico, non è necessaria l’esistenza di un accordo di fondo proveniente da una omogeneità culturale, perché l’opinione pubblica e le forze politiche sono strutturate democraticamente.
1.2 Gli stati nazionali, il conflitto, e l’inclusione dell’altro.
Per Jurgen Habermas, <<i confini di uno stato dipendono dalla casualità storica, solitamente dall’ imprevedibile esito di conflitti cruenti, guerre o guerre civili. Mentre il repubblicanesimo ci rafforza nella consapevolezza della contingenza di questi confini, l’appello alla nazione “naturale”… riveste … i confini con l’aura di una sostanzialità… legittimandoli con artificiosi riferimenti all’origine>>. Schmitt propone il concetto “naturalizzato” di nazione in chiave democratica. Un popolo, attraverso la sua autoaffermazione, può garantire efficacemente eguali diritti a tutti gli individui. Ma è chiaro che una persona non può far valere i propri diritti fondamentali restando fuori dal contesto nazionale. Come emerge dal testo, secondo Schmitt: <<Uno stato nazionalmente omogeneo appare come qualcosa di normale; uno stato a cui manca questa omogeneità ha qualcosa.. che minaccia la pace.>> E ancora: <<Con il riconoscimento… della generale eguaglianza umana sul terreno della vita pubblica… uno stato democratico si priverebbe della sua sostanza>>. All’ origine di questi assunti c’è una concezione hobbessiana pessimistica della natura umana. Ogni teoria politica presuppone, secondo questo studioso, che l’uomo sia un essere pericoloso e che caratteristica fondamentale della politica sia l’inimicizia. Nemico politico è l’altro, lo straniero, con il quale possono insorgere conflitti; nemici sono i gruppi etnici e sociali, e le classi che sono antagoniste rispetto allo Stato ed alla sua costituzione. Ma qui, lo sguardo è indirizzato verso il comportamento che uno stato così inteso adotta nei confronti delle minoranze etniche. Le iniziative in tal senso vanno dalla totale assimilazione culturale, dalle misure preventive per il controllo dell’ immigrazione, fino alla segregazione territoriale tramite la creazione di protettorati, colonie, riserve e così via. In realtà si può arrivare fino ai più crudeli governi nazionalistici, di cui l’Europa ha purtroppo fatto esperienza nel corso del Novecento. E compito dell’ organizzazione statale è proprio quello di difendersi da questi nemici, senza che il conflitto degeneri in repressioni troppo violente ed in aperte guerre armate.
Come si può dedurre da quanto fin’ora scritto, Schmitt pensa che alle minoranze etniche debbano essere riconosciuti, in molti casi, i diritti soggettivi ed umani, il godimento privato delle libertà liberali ma non l’esercizio delle libertà politiche. E questo è l’ unico segno che questo autore dà, in relazione alla volontà di accogliere ed includere l’altro; cioè colui che sta al di fuori della comunità nazionale. Per Habermas, a partire dalla formazione dello stato-nazione, prospera il concetto di cittadinanza democratica nel cui grembo troviamo una solidarietà tra persone, relativamente astratta, e comunque giuridicamente mediata. Ciò prende vita in un contesto di comunicazione e dialogo nel campo della politica. Nel corpo dell’ organismo statale è importante che si sviluppi una autocomprensione etico-politica, creata e sviluppata grazie alla comunicazione tra i cittadini. <<Ciò che lega insieme “una nazione di cittadini”… non è una qualche forma di sostrato primordiale, bensì semplicemente il contesto intersoggettivamente condiviso di un’ intesa possibile>>.
Habermas afferma che una nazione deve trovare una base nel processo democratico, il quale deve funzionare da garanzia per l’integrazione sociale di una società differenziata, e sempre più in via di differenziazione. Questo compito di integrazione spetta alla “macchina della politica” che deve far valer la sua volontà. Il pluralismo sociale, culturale e delle visioni-del-mondo è un tratto saliente della modernità. L’ integrazione di questa pluralità di voci non può essere sottratta al piano della formazione politica della volontà e della comunicazione pubblica. Il rapporto con l’altro non può essere creato partendo dal concetto di un popolo presuntivamente omogeneo; dietro questa facciata finirebbe solo per nascondersi la cultura egemonica dei gruppi e dei partiti dominanti. In molti paesi, per tutta una serie di motivi storici, la cultura della maggioranza si è unita, fondando un blocco, con le credenze e la prassi della cultura politica. <<Ma questa fusione va sciolta se si vuole che dentro una stessa comunità politica possano coesistere diverse, e giuridicamente equiparate, forme di vita culturali, etniche e religiose>>, ed è quello che a noi interessa.
Tuttavia, per Habermas, la politica di un paese viene fatta intorno alla costituzione vigente, e l’ inclusione e l’ uguaglianza di tutti è un percorso che deve seguire le credenze e le pratiche incarnate dalla “costituzione”. Ciò non toglie però che una cultura nazionale può dare un’ interpretazione sempre diversa dei suoi stessi principi, proprio con l’intenzione di arrivare ad “includere l’altro”. In tale prospettiva uno stato nazionale può guardare e confrontarsi, ad altre costituzioni repubblicane. Lo stato costituzionale quindi ha come compito, oltre che di ammorbidire per quanto possibile i conflitti con le minoranze etniche e culturali, quello di includere queste diversità, nella laboriosità dei propri congegni vitali di indirizzo e di amministrazione della società. Ed è a questo auspicio che fa riferimento il titolo del libro: “l’inclusione dell’ altro”.
2. Un confronto con Rawls.
2.1 Il liberalismo di Rawls
E’ la parte seconda di questo libro che ci mette tra le mani il confronto con Rawls. Rawls, figura importante della filosofia morale e politica, vede la società come una comunità di persone, di cittadini che vivono sotto le istituzioni di una società ben progettata. Questi organismi vivono in rappresentanza di cittadini autonomi, e sulla base delle proprie concezioni, agiscono come esseri razionali. Gli enti istituzionali possono soltanto fare considerazioni razionali rispetto allo scopo oppure possono introdurre punti di vista etici nella scelta dei loro progetti di vita. Restringendo la loro discrezionalità operativa, e circoscrivendo ragionevolmente la loro libertà di arbitrio, le parti giungono alla salvaguardia delle idee di democrazia, e di giustizia, sulle quali la società viene tenuta unita. In un secondo tempo Rawls elabora l’idea che le istituzioni, che esprimono le istanze dei gruppi, dei ceti sociali e dei cittadini, concentrano la loro attenzione sulla costruzione di patti reciproci volti alla protezione di quei principi democratici di cui si accennava poc’anzi. <<Per un verso esse -le organizzazioni- non sono interessate l’ una all’ altra e si comportano mutualmente come giocatori che “si battono per il più alto punteggio assoluto possibile”. Per un altro verso sono dotate “di una capacità di giustizia in senso prevalentemente formale”>>. Comunque con la stipula degli accordi, esse vengono a sapere, di sé, che si atterranno reciprocamente alle regole.
Per John Rawls ogni persona ha un uguale diritto alle libertà fondamentali, compatibilmente con una simile libertà per gli altri; le facilitazioni economiche e sociali sono ammissibili soltanto per il beneficio dei meno avvantaggiati. Ciò porterebbe ad una situazione di equità: nella società nessuno avrebbe né troppo, né troppo poco. Rawls mette in luce come nelle società democratiche vige una pluralità di esistenze politiche, sociali e culturali; per questo vi è un disaccordo in merito alle diverse concezioni della vita e di ciò che ha valore. È possibile pensare che persone ragionevoli, convinte della desiderabilità dei principi liberali, non condividano in pieno la teoria dei principi di giustizia, cioè che ne condividano una parte ma non l’ altra, in quanto convinti che il valore supremo sia la libertà da incoraggiare a tutti i costi, anche a discapito dell’uguaglianza. Tuttavia, secondo questo autore, in politica si può raggiungere una forma di accordo su alcuni principi che possano essere accettati anche da chi professa convinzioni -ragionevolmente- diverse. E’ possibile e auspicabile, cioè, un liberalismo politico non guidato da teorie religiose o metafisiche, ma intessuto per mezzo di ciò che Rawls chiama il “consenso per intersezione”, grazie cioè all’ interazione ed al dialogo. In sostanza, l’ inclusione dell’ altro deve avvenire in questa maniera: l’ente statale deve mettere in moto prassi di azione, a scopo sociale, rivolte non solo alla difesa degli elementari diritti umani, ma anche al mantenimento dei “diritti di cittadinanza“, ciò a beneficio dei gruppi e degli individui socialmente più svantaggiati. E sono questi “gli altri” a cui il testo si riferisce. Un approccio simile deve essere rivolto agli “altri per eccellenza”: gli immigrati, nei confronti dei quali abbiamo l’onere di fornire percorsi d’inclusione plasmati dal diritto; percorsi afferenti non solo alla sfera privata, ma anche a quella pubblica.
Lo stesso Rawls afferma che l’ accordo a cui arrivano gli enti all’ interno di uno stato può riuscire a mantenere unita e viva una società. Questo è un fatto, almeno in parte, empiricamente già presente nelle società liberal-democratiche. Lo studioso si preoccupa anche del caso di società in cui tale consenso ed equilibrio non esistono. E tocca tale argomento non tanto a livello nazionale, quanto su scala internazionale. E’ importante qui che le società liberali e democratiche si accordino su un nucleo minimale di diritti umani. Tuttavia, tale accordo non è raggiungibile con le società e gli stati autoritari ed aggressivi, o con popoli troppo poveri per poter garantire i requisiti minimi di giustizia. Verso questi ultimi le società liberali si devono impegnare a dei doveri di assistenza. Quindi vediamo come il progetto di inclusione dell’ altro, che però Habermas -come diremo- critica fortemente, abbia in Rawls un respiro internazionale.
2.2 Il repubblicanesimo di Habermas
Il repubblicanesimo di Habermas parte da intuizioni diverse rispetto a quelle di Rawls. Questo filosofo e sociologo non vede le persone come autonome rispetto alle istituzioni ed alla società di cui sono parte; <<giacché solo attraverso il processo di socializzazione le persone diventano individui>>. La persona mantiene una sfera di originalità rispetto ad un cammino di socializzazione; la sua identità è irripetibile e non si può ridurre ad un insieme di ruoli. Purtuttavia essa prende alito vitale soprattutto dentro la famiglia, nel contesto della socializzazione primaria, dove si verificano le più intense esperienze affettive. Poi la persona continuerà a formarsi nell’ ambito della scuola, del lavoro, e attraverso una presa di coscienza della sua appartenenza etnica, di ceto e così via. Con questo bagaglio di esperienze l’individuo giunge a maturazione, e attraverso il filtro delle organizzazioni, entra a far parte di una comunità, di una associazione di liberi ed eguali, o perlomeno così dovrebbe essere. In questa prospettiva il processo democratico, che è guidato da delle norme di legge, si compie attraverso l’ uso pubblico della ragione la quale rappresenta la chiave di volta per cercare di affermare progetti improntati alla giustizia, alla libertà ed all’ uguaglianza. E afferma: <<in un’associazione, fatta in simil modo, tutti devono potersi considerare, collettivamente, come autori delle leggi a cui, in quanto destinatari, si sentono vincolati come singoli>>.
In un pensiero illustrato in questo modo diventa difficile pensare che un individuo possa essere libero a spese della libertà di un altro. <<La libertà di un individuo resta legata a quella degli altri non soltanto in maniera negativa, ossia attraverso reciproche demarcazioni, attraverso frontiere che sono il risultato di un’autolegislazione esercitata in comune>>. Secondo Habermas: <<per mano del diritto coercitivo e positivo, la libertà della persona morale, ma anche di un’istituzione morale, si scinde nell’ autonomia pubblica del colegislatore, da un lato, e nell’ autonomia privata del destinatario di diritto, dall’ altra. Questi due volti si sostengono mutualmente>>. E’ compito del processo democratico riassestare, ogni volta che c’è bisogno, la frontiera precaria tra il privato ed il pubblico. Sono evidenti le differenze rispetto a Rawls. Quest’ ultimo crede che i soggetti, pur interagendo forniti dell’arma del proprio egoismo razionale, pur escludendo ogni punto di vista esterno al loro, possano accordarsi per tutelare le questioni di giustizia ed eguaglianza. Ma per Habermas le cose non stanno in questo modo perché come dicevamo in precedenza, una persona morale non ha solo una dimensione privata che lo porta a tutelare i propri interessi ma ha anche una dimensione pubblica che desidera il bene dell’ intera collettività. Secondo Habermas, il liberalismo politico, di cui Rawls è un sostenitore, parte dal principio che il singolo e la sua condotta di vita vadano protetti dalle intrusioni del potere politico; anche se è quest’ ultimo, nella sua autonomia, che dovrebbe garantire una società giusta e buona. Questo sbilanciamento verso il desiderio della libertà d’arbitrio delle persone private, secondo Habermas, porta Rawls a figurarsi i diritti come degli scudi protettivi che tutelano l’autonomia privata. In sostanza viene messa in secondo piano il valore intrinseco dell’ autonomia pubblica, che sembra semplicemente un mezzo per rendere vigorosa l’iniziativa privata, spesso delle persone e dei gruppi più ricchi.
Nell’ottica di Habermas, l’altro, inteso nelle sue particolarità etniche e sociali, e nelle sue situazioni di difficoltà, è sia protetto nei suoi diritti umani e fondamentali, sia incluso nel godimento delle facoltà possedute dagli altri cittadini, anche concernenti il settore della vita pubblica. Anche per gli stranieri, vengono tessute trame all’interno degli organismi sociali, con l’intenzione di dare loro sempre maggiori possibilità di integrazione, di inclusione sociale. Secondo Habermas, il modello politico per approdare a questi fini che sono di carattere politico e morale, è una via intermedia tra quello liberale -che si preoccupa maggiormente di garantire gli interessi soggettivi e privati- e quello repubblicano che invece crede nella forza della solidarietà per produrre integrazione sociale. In sostanza, a parere di questo studioso vanno parimenti tutelate sia l’ autonomia pubblica, più supportata dalle visoni repubblicane, sia quella privata, più favorita dalle concezioni liberali.
3. Il fondamento cognitivo della morale.
Come si evince dalla parte prima e da quella conclusiva del testo sotto esame, in tutti questi discorsi su questioni di teoria politica la riflessione intorno al concetto di morale ed ai suoi contenuti, occupa una posizione di primo piano. Nell’ epoca post-tradizionale e moderna, i principi e le norme morali della società vengono adottate ed innalzate a valori guida, in seguito ad un percorso di comunicazione razionale. L’autorità delle prescrizioni divine viene messa in discussione, soprattutto in relazione allo studio, della natura e dei limiti della conoscenza scientifica. La scienza cioè, si rende autonoma rispetto alla speculazione teologica. La prassi morale, politica, si separa dalla dottrina religiosa che guida alla salvezza l’uomo, ed alla sua liberazione da ogni male. Anche se, ancora oggi si può rilevare un’influenza dei principi etico-religiosi sulle volontà della politica. Habermas, dal canto suo, sostiene che la morale debba essere sciolta dalle catene di ogni autorità religiosa, ontologica e sociale; l’uomo rimasto “orfano di Dio” non può che fare affidamento alla ragione, della comunicazione e del discorso. Vorrebbe che principi umani di giustizia, di eguaglianza e di libertà con i progetti per metterli in atto, scaturiscano in un contesto discorsivo e di dialogo. E in un contesto di comunicazioni non distorte nel quale non ci siano più le costrizioni delle tradizioni e delle ideologie. La teoria morale sarebbe quindi il frutto democratico di un pluralismo culturale, sociale e politico autentico.
Questo autore non rinuncia comunque all’ universalismo della morale, cioè ad un <<sentimento morale>> di rispetto e solidarietà verso chiunque. Egli propugna l’idea che attraverso una continua apertura al dialogo, gli uomini possano giungere ad un accordo su norme e principi etici universalmente validi. Questo perché esiste una razionalità comune a tutti gli uomini: una razionalità discorsiva, comunicante ed intersoggettiva. Idee di matrice universalistica sono germogliate in seno al pensiero illuministico e sono giunte fino alla tarda modernità. Il progetto che ne scaturisce è basato sull’ affermazione che le questioni morali devono essere trattate giuridicamente dalla legge che è legge universale umana e diritto naturale. Tale corrente di pensiero vede la realtà culturale e sociale del mondo occidentale alfabetizzato come omogenea. Questa intenzione di democrazia universale non tiene conto dello sviluppo economico e sociale diseguale e della presenza di popoli di tradizioni differenti, e perciò si traduce in una chiusura verso l’altro. Queste critiche sono mosse anche al pensiero liberale che abbiamo visto precedentemente, al quale si rimprovera più di difendere gli interessi privati che di creare leggi e strutture finalizzate alla solidarietà ed all’ inclusione. Invece Habermas è sostenitore di un universalismo sensibile alle particolarità culturali e sociali. E si oppone all’atteggiamento postmoderno e alle loro teorie caratterizzate dal relativismo e dal trionfo dei particolari punti di vista. Ha portato avanti una polemica contro di essi perché assumevano che ogni cultura è un sistema chiuso in se stesso e dunque incomunicabile con tutti gli altri.
In conclusione, ne “L’inclusione dell’ altro. Studi di teoria politica.” Habermas è d’accordo con Rawls nel valorizzare la libertà personale, di proprietà, quella religiosa e di coscienza. E si ritrova l’ intenzione, presente anche in Schmitt, di resistere alle tendenze della globalizzazione del mercato e dei sistemi comunicativi; di combattere i grandi monopoli internazionali dell’industria culturale e dei consumi. Ma mentre Schmitt è fautore di un cieco localismo e di stati nazionali chiusi, Habermas vuole subordinare le istanze globalizzanti alle esigenze di un repubblicanesimo internazionale che, in uno stato di diritto, promuova progetti assistenziali e di solidarietà. Ciò affinché prosperi un reale pluralismo nazionale, etnico, sociale e politico.
Fabio Rinaldi
Articolo esaustivo e ben fatto!