Mexico. Immagini di una Rivoluzione.

 

Palazzo delle Esposizioni, Roma.
Mexico. Immagini di una Rivoluzione
.

Il 5 Ottobre è stata inaugurata al Palazzo delle Esposizioni (Roma) la Mostra fotografica “Mexico. Immagini di una Rivoluzione”. Come si può facilmente intendere, oggetto dell’Esposizione è la Rivoluzione messicana, ufficialmente cominciata con la decisione del liberale Francisco Madero (che, assieme ad altri esiliati negli Stati Uniti, redasse il “Piano di San Luis”) di opporsi militarmente al Regime dittatoriale di Porfirio Diaz (1876-1911).

La Mostra ha il merito di rendere pienamente la complessità del Fronte rivoluzionario, tenuto inizialmente insieme solo dalla ferma volontà di porre termine alla Dittatura porfiriana. In realtà già con la Presidenza di Madero (1911-1913, anno in cui fu assassinato) cominceranno ad innescarsi dei meccanismi (causati da fattori interni ma anche esterni, come ad esempio gli Stati Uniti d’America) che porteranno il Messico in una lacerante Guerra civile. Victoriano Huerta, capo delle forze armate (già collaboratore di Diaz), prese il Potere eliminando Madero. Instaurò una feroce Dittatura che resse fino al 1915, fino a quando non fu costretto all’esilio. Successivamente ogni caudillo si mostrò interessato al Potere (Venustiano Carranza, Pascual Orozco, Alvaro Obregon…), per questo si innescò un processo di continuo conflitto che ridusse il Paese alla fame ed alla miseria.

A differenziarsi dagli altri caudillos messicani vi erano Emiliano Zapata e “Pancho” Villa. Nessuno dei due aveva bramosie di Potere, “semplicemente” lottavano per ottenere giustizia sociale. Villa, al Nord, lottava soprattutto contro i ricchi possidenti che condannavano a condizioni di Vita e di Lavoro pietose molti operai e campesinos (contadini). Utilizzava tecniche di guerriglia simili a quelle usate dagli Apache e dai Comanche contro cui, qualche tempo prima, si erano battuti i coloni messicani. Emiliano Zapata, invece, agiva innanzitutto al Sud, dove più forte era la presenza indigena. Eletto Sindaco di Anenecuilco, appoggiò la Rivoluzione contro Diaz. Immediatamente, però (forse anche a causa di Huerta, che attaccò le terre di Zapata “dividendolo” da Madero), gli zapatisti lanciarono, in risposta al “Piano di San Luis”, il “Piano di Ayala” che aveva le parole d’ordine: “¡Tierra, Justicia y Ley!” (Terra, Giustizia e Legge). Si potrebbe considerare questo Piano il “vero” Manifesto politico di Zapata e degli zapatisti, in cui sostanzialmente si richiedeva una Riforma agraria che togliesse la Terra ai latifondisti, ridistribuendola tra i contadini (a loro volta espropriati). Lo “stendardo” degli zapatisti era, non a caso, la Vergine di Guadalupe. A Sud, infatti, era più forte la presenza indigena e Nostra Signora di Guadalupe apparve, per la prima volta, ad un azteco convertito al Cristianesimo. Si potrebbe leggere questa particolarità come una stratificazione culturale della penetrazione missionaria ai tempi del colonialismo.

Ogni passaggio di questa Storia è splendidamente riprodotto dalle immagini. La disperazione del Popolo, la sicurezza di alcuni capi militari, lo spaesamento dei campesinos giunti in Città. Il Messico sembra trasformarsi in un grande laboratorio militare (vennero sperimentate attrezzature successivamente utilizzante nel primo Conflitto mondiale) e pubblicitario (l’uso della fotografia, e di alcune tecniche in particolare).

Si potrebbe descrivere la Guerra civile messicana come l’ultimo dei Conflitti “moderni” perché rientra pienamente nel tentativo di “modernizzare” il Paese, facendolo uscire da un paradigma socio-economico quasi “medievale”. E’, quindi, una Rivoluzione borghese a tutti gli effetti (da paragonare alla Rivoluzione inglese del milleSeicento ed a quella francese di fine milleSettecento). La concentrazione dei latifondi, infatti, da una parte espropriava i contadini delle Terre comuni (Commons) indispensabili alla loro sopravvivenza, lasciandoli in una condizione di profonda miseria e disperazione (le Città non riuscivano a ricollocare questa manodopera in eccedenza); dall’altra impediva alla Borghesia locale di svilupparsi autonomamente, senza subire radicali condizionamenti dai Capitali internazionali.

Rimane da affrontare un altro problema. L’esperienza delle donne, la condizione femminile nella rivoluzione messicana. In messico si era all’avangardia anche su questo.

“Si Adelita quisiera ser mi esposa,
si Adelita fuera mi mujer,
le compraría un vestido de seda
para llevarla a bailar al cuartel.”

La Adelita“, corrido (canzone popolare) della rivoluzione messicana

Se nell’Europa della prima guerra mondiale, la donna riesce a rendersi indipendente soltanto in parte, soprattutto attraverso il lavoro e l’associazionismo, grazie ai vuoti (di manodopera, controllo, responsabilità) legati alla mobilitazione bellica maschile, nel Messico degli anni Dieci, il processo di emancipazione va ben oltre, contrapponendosi per certi versi anche a quanto sancito dal Codice civile del 1884, poco clemente nei confronti del sesso femminile.Negli scatti fotografici del periodo rivoluzionario – a volte stinti, ma pur sempre toccanti -, s’assiepano madri e mogli affamate che protestano per la carenza di viveri, infermiere, consolatrici di orfani, lavoratrici. Ma tra le ombre del bianco e nero, scorgiamo anche gli sguardi fieri delle corononelas (le colonnelle), appoggiate ai fucili, i volti pensierosi delle intellettuali, le collane di proiettili delle combattenti zapatiste con i panni da lavoro o il vestito buono della festa. Adelita ha stracciato l’abito da sera.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.