“In questo libro mi sembrava che non si potesse giungere alle potenze della differenza e della ripetizione senza mettere in questione l’immagine che ci si faceva del pensiero. Voglio dire che noi non pensiamo soltanto secondo un metodo, mentre c’è un’immagine del pensiero, più o meno implicita, tacita e presupposta, che determina i nostri scopi e i nostri mezzi quando ci sforziamo di pensare. Per esempio, presupponiamo che il pensiero abbia una natura buona, e che il pensatore abbia una buona volontà (volere “naturalmente” il vero); ci diamo come modello il riconoscimento, vale a dire il senso comune, l’uso di tutte le facoltà intorno a un oggetto che supponiamo uguale a se stesso; designiamo il nemico da combattere: l’errore, nient’altro che l’errore; e presumiamo che il vero riguardi le soluzioni, cioè proposizioni in grado di servire da risposta. È questa l’immagine classica del pensiero, e finché non abbiamo portato la critica al cuore di questa immagine, è difficile condurre il pensiero fino a problemi che debordano il modo proposizionale, fargli effettuare degli incontri che si sottraggono ad ogni riconoscimento, fargli affrontare i suoi veri nemici, che sono ben altri che l’errore, e giungere a ciò che costringe a pensare, o che strappa il pensiero al suo torpore naturale, alla sua notoria cattiva volontà”. (Prefazione all’edizione statunitense di “Differenza e Ripetizione”)
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La spontaneità con cui pensiamo non deve far credere che siamo davvero capaci di pensare. Le regole del logos, per quanto possano apparire rigorose, ancora non ci illuminano su cosa il Pensiero sia, ancora non ci indicano il suo modo di procedere. Pensare, anzi, è un’operazione estrema, che sfinisce e disorienta chi lo pratica, in un gioco che sancisce inesorabilmente la dissoluzione del soggetto-pensatore per far vincere, ritornare, ripetere la sola “cosa” che davvero sa giocare, il Pensiero stesso, incarnazione e specchio di un’Idea sempre differita e mai piegata ai principi della rappresentazione concettuale. Questo l’insegnamento di Differenza e Ripetizione; questa la sfida di Deleuze. Tracciando una linea di critica radicale che percorre trasversalmente tutta la storia della filosofia, il testo di Deleuze è il perfetto esempio dell’opera teoretica, la cui intenzione prima è quella di mettere alla prova il fondamento su cui il pensiero filosofico ha voluto costruire di volta in volta i suoi mondi. Fondamento che però, seguendo le argomentazioni di Deleuze, appare immotivato, dogmatico, irriflesso; fondamento che perciò non tiene, anzi sprofonda in un senza-fondo sul quale qualsiasi opera di fondazione che vuole seguire i principi della ragione sufficiente risulta impossibile.
Fondare è cominciare, e il problema del cominciamento è il primo problema della filosofia la quale, in quanto attività che riflette su se stessa, non può esimersi dal riflettere anche su cosa fondare, su quale sia il fondamento indubitabile sul quale poter costruire. Eppure, a parte rare eccezioni, la filosofia non ha mai posto sotto riflessione la forma del pensiero stesso, quella forma cioè che sempre è stata creduta retta per natura. “Quando Nietzsche s’interroga sui presupposti più generali della filosofia, dice che essi sono essenzialmente morali, poiché solo la Morale è in grado di persuaderci che il pensiero ha una natura buona e il pensatore una buona volontà, e solo il Bene può fondare l’affinità supposta del pensiero con il Vero.” [p. 172]. Un’operazione morale sta dunque alla base del pensiero filosofico: la credenza, e la successiva valorizzazione, che il pensiero sia orientato per sua natura verso il Vero. Questa credenza, che permette non solo il mondo della rappresentazione intelligibile, ma anche la possibilità del riconoscimento sensibile, è chiamata da Deleuze Immagine del pensiero, e diventa l’oggetto di una critica aspra e radicale che percorre tutta l’opera e che trova i suoi mezzi di offesa nelle nozioni, appunto, di Differenza e Ripetizione.
Tuttavia, prima di potersi servire di tali nozioni, esse vanno liberate dal dominio della logica concettuale al quale vengono sottomesse. Bisogna insomma pensare la Differenza e la Ripetizione in modo nuovo, senza presupposti, emancipandone le potenzialità dai dettami che l’universo rappresentativo impone loro. “Si dirà che la differenza è “mediata”, nella misura in cui si giunga a sottometterla alla quadruplice radice dell’identità e dell’opposizione, dell’analogia e della somiglianza”. [p. 45] Pensare la differenza sotto tutti questi aspetti riflessivi comporta la perdita per la differenza stessa del concetto e della realtà che le sono propri. Contrariamente, una vera filosofia della differenza la pensa come un in sé che precede qualsiasi altra determinazione concettuale, e che perciò, proprio perché precedente ogni classificazione, è l’unico concetto davvero in grado di testimoniare quale sia il movimento che permette all’Idea – altro nome di quella molteplicità che non si lascia ridurre al gioco dialettico dell’Uno e del molteplice e che diverrà il concetto operativo centrale nelle successive opere di Deleuze in collaborazione con Guattari – di incarnarsi nella realtà del mondo. Questo modo di determinare l’istanza problematica ideale fa sì che il pensiero contenuto in Differenza e Ripetizione si possa definire come una sorta di idealismo sui generis: se da un lato bisogna infatti “cogliere le cose come incarnazioni, come casi di soluzione per problemi di Idee”[p. 237], affermazione che esprime bene il carattere idealista del pensiero deleuziano, dall’altro bisogna distinguere l’istanza-soluzione dall’istanza-problema, la prima non essendo altro che quel fare che snatura e addomestica la seconda ai fini dell’uso tecnico e del pensiero calcolante. “Le condizioni del problema sono l’oggetto di una sintesi dell’Idea che non si lascia esprimere nell’analisi dei concetti proposizionali che costituiscono i casi soluzione” [p. 231-232]. Il solo modo per non ridurre il campo ideale del problematico alle soluzioni che via via credono di risolverlo è appunto saper pensare la Differenza in sé, quella Differenza cioè che caratterizza l’Idea-problema in quanto pura virtualità, pura realtà virtuale distinta dall’attualità del mondo di cui tuttavia è responsabile. Ecco che l’idealismo deleuziano si fa peculiare, sui generis, poiché tutto ciò che caratterizza l’idealismo filosofico classico, ovvero l’universo della rappresentazione concettuale al di là delle particolari forme sotto cui viene pensato, viene qui sia criticato in quanto Immagine dogmatica e irriflessa del pensiero, sia superato in favore delle nozioni di Differenza e Ripetizione.
Se la Differenza permette di cogliere l’essenza dell’Idea virtuale, svelandone la composizione fatta di rapporti differenziali e di singolarità ad essi corrispondenti (ovvero la sua “differentiazione”); se ancora la Differenza interviene nel determinare quel processo di individuazione grazie al quale si ha l’attualizzazione nel mondo dell’istanza ideale virtuale (cioè il processo di “differenziazione”); se dunque la Differenza sembra costituire ogni aspetto della realtà, sia essa virtuale o attuale, ben prima che intervenga la rappresentazione a mettere ordine, il concetto di Ripetizione viene introdotto per poter rendere conto ad un tempo tanto del divenire delle cose quanto dell’esperienza che il soggetto ha di questo divenire. Il concetto di Ripetizione permette dunque a Deleuze di poter affrontare la problematica del Tempo. Tre sono le sintesi temporali che vengono descritte nel testo, ciascuna delle quali privilegia del tempo una delle tre dimensioni che lo costituiscono. Ma, mentre le prime due sintesi, quella relativa all’istante del presente vivente e quella relativa ad un Passato puro che mai è stato presente, la prima basata sull’abitudine del soggetto a contemplare e contrarre gli istanti che passano al fine di trovare coerenza nel divenire delle cose, la seconda introdotta per rendere conto dello stesso passaggio degli istanti nel tempo, non possono che riferirsi ancora al mondo della rappresentazione, è soltanto con la terza sintesi, quella relativa al futuro inteso come eterno ritorno, che ci si libera dall’universo rappresentativo e si lascia spazio per far sì che la vera Differenza possa ripetersi. Ogni istante che si succede è dunque manifestazione dell’eterno ritorno, di un eterno ritorno che però seleziona, afferma e fa tornare soltanto ciò che differisce: “la ripetizione nell’eterno ritorno esclude due determinazioni: lo Stesso o l’identità di un concetto subordinante, e il negativo della condizione che riferirebbe il ripetuto allo Stesso e assicurerebbe la subordinazione. […] Viceversa essa concerne sistemi eccessivi che legano il differente al differente, il molteplice al molteplice, il fortuito al fortuito.” [p. 151]. Questo meccanismo, che descrive come l’Idea virtuale si attualizza asimmetricamente nelle cose del mondo, non può ancora essere compreso dal soggetto che pensa all’interno dell’Immagine del pensiero, e così dimostra l’insufficienza della rete concettuale che, per quanto affinata sia, lascia tuttavia fuggire anche i pesci più grossi fintanto che continua a subordinare la Differenza all’identità, all’opposizione, all’analogia e alla somiglianza.
Differenza e Ripetizione è un testo difficile ma allo stesso tempo appassionante, una vera e propria esperienza di pensiero che conduce il lettore al di là delle sue convinzioni più naturali, spronandolo continuamente a pensare in maniera nuova. La sensazione che si prova leggendolo è quella propria di tutte le opere di portata rivoluzionaria, quelle opere che, servendosi dell’esercizio del sospetto, scardinano le credenze su cui si basano buon senso e senso comune, disorientano il lettore proprio su ciò che ritiene indubitabile, lo costringono ad assistere ad una critica radicale di tutto il suo mondo, lo modificano nelle sue certezze più solide, per fargli infine esclamare “non era così, dunque!” Ma la rivoluzione annunciata e auspicata da Deleuze rimane ancora incompiuta, come se essa non fosse stata del tutto recepita da quel mondo della filosofia che si dimostra ancora oggi arroccato su posizioni e interrogativi che privilegiano i temi della coscienza, del soggetto umano come misura di tutte le cose e dell’oggetto mondano come materia predisposta ad essere formata secondo le esigenze del pensiero calcolante. Tuttavia la rivoluzione deleuziana resta lì, inattuale eppure sempre a-venire, a ricordare con il suo programma che molti sono ancora i limiti della ragione, che, se essa continuerà a basarsi sulle proprie rappresentazioni, non potrà che trovare ciò che stava cercando, in un perenne divenire capace di ottenere soltanto risposte inadeguate per domande mal comprese.
Interessante ma non troppo semplice da capire in tutte le sue parti.