Vittorio Sgarbi, Piene di Grazia. I volti della donna nell’arte, recensione di Erica Trabucchi

 

Giaele e Sisara, di Artemisia Gentileschi

Giaele e Sisara. Artemisia Gentileschi, che subì una violenza sessuale, realizza in quest'opera del 1620 un tema che l'accompagnerà per tutta la vita, e cioè quello di una donna energica e libera dal dominio maschile

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Vittorio Sgarbi non ha mai nascosto la sua passione per le donne. Spesso negli show televisivi si è divertito con provocazioni ed eccessive confidenze sulla sua vita, anche sessuale. Eppure, quando Sgarbi si ricorda delle sue origini, della sua vasta cultura artistica, vedono la luce opere letterarie di grande spessore. La sua ultima fatica, “Piene di grazia. I volti della donna nell’arte”, si concentra proprio sulla figura della donna nelle opere d’arte, secondo un andamento cronologico, a partire dal Medioevo sino alle opere di artisti a noi contemporanei. “Il mondo femminile nell’arte consente riflessioni, discussioni, e questo libro lo documenta, con una serie di esempi che indicano l’arte, il mistero e la seduzione che dalla donna escono”, potrebbe essere il sunto del testo, l’obiettivo che spinge l’autore nella ricerca. Perché se la storia dell’arte è una fonte immensa di opere a cui fare riferimento, una scelta ben ponderata e metodologicamente precisa come quella di Sgarbi non può essere sminuita.

Fino a quando “il cielo incontra la terra”, fino a quando la donna è vista con gli occhi della Chiesa, quale ultima creatura immaginata e voluta da Dio, non si può che trovare la Madonna quale soggetto artistico tra i più ricercati. Dolcezza, amorevolezza verso il figlio che spesso tiene tra le braccia, al quale concede il seno in uno dei gesti più belli di una madre, la Vergine Maria viene presa come soggetto dai più celebri pittori, da Cimabue a Masaccio, da Van Eyck a Piero della Francesca, da Antonello da Messina a Carpaccio, da Leonardo a Raffaello.

Il Sogno di Sant'Orsola, 1495 (dettaglio), di Vittore Carpaccio

Ci sono poi tutta una serie di sante che si sono fatte strada nella storia e alle quali sono attribuiti non pochi dipinti. Tra i tanti, va sottolineata la bellissima interpretazione del Sogno di Sant’Orsola di Vittore Carpaccio, nella quale sembra di entrare in punta di piedi nella stanza della giovane addormentata, quasi fossimo degli ospiti attesi ma attenti a non spezzare la magia del sonno; la virtù della giovane donna, per la quale si avvicina il momento del martirio, è sottolineata dalla metà del letto vuoto, non toccato e neppure scomposto.

Amore sacro e amore profano (1515), di Tiziano

Amore sacro e amore profano (1515), di Tiziano

Quando poi è “la terra la misura di tutte le cose”, la donna inizia ad apparire in tutto il suo splendore, in tutta la sua sensualità. È il caso delle donne di Tiziano in Amor sacro e Amor profano, dove i corpi cominciano a scoprirsi, belli, armonici, provocanti. Non solo: tra i soggetti che Sgarbi analizza, compaiono anche le donne del popolo, le donne vere come quelle rappresentate da Giacomo Ceruti, dove a predominare sono le forme naturalistiche, scene di ghetto dove compaiono mendicanti, lavandaie, caratterizzati tutti da una profonda umanità.

Cleopatra (Artemisia Gentileschi)

Cleopatra (1620). Sgarbi commenta: "Raramente un nudo ha rinunciato nelle forme e nella posa ad ogni esterna gradevolezza. Noi, di questa Cleopatra, sentiamo gli odori, il sudore, la puzza"

La Cleopatra di Artemisia Gentileschi, invece, non ha niente né di bello né di grazioso: è una figura pesante, sgraziata, di un realismo assoluto con i suoi difetti, un braccio flaccido e una pancia sporgente: un corpo prima che un’anima. La Gentileschi sembra voler affermare la propria libertà di donna e di pittrice che non sottostà ai limiti imposti dall’Accademia, ma lascia la propria mano libera di seguire la fisicità del corpo, la bellezza di un volto che cede a una smorfia di dolore, paura, angoscia. L’artista sembra anticipare il momento in cui al cielo non si farà più riferimento, il momento nel quale si assiste alla desacralizzazione della donna: “con l’inizio dell’età contemporanea, decadendo la pittura storica e religiosa, ciò che è stato soggetto privilegiato come immagine della bontà e della bellezza, assume una connotazione estetica assoluta, al di là dei temi e dei generi”.

Les demoiselles d’Avignon sono uno dei massimi esempi di questa nuova arte, dove la donna, ceduta la bellezza e la grazia, assume un significato illimitato. A caratterizzarla saranno l’ossessione, una forza oscura e travolgente, inquietante e maligna, come nelle opere di Klimt e Balthus. La donna diviene, così, il simbolo di una dicotomia, il fulcro di due strade che si uniscono: è allo stesso tempo simbolo di vizio e virtù, piacere e dannazione. È il momento in cui l’immagine della donna fa più discutere, anche per via di una nuova importanza che viene attribuita a quello che è sempre stato considerato il sesso debole. Non a caso, ci sono intere pagine dedicate alle mogli degli artisti, che si sono riscoperte artiste loro stesse, destabilizzando i loro mariti e l’arte da essi prodotta. Ma nonostante tutto, ecco che si chiude il cerchio: in qualsiasi modo venga rappresentata, la figura femminile attrae, è simbolo di speranza, desiderio, e perché no, di sogno: il volto della donna è la forma più sensibile e più compiuta di un pensiero d’amore. Il libro di Sgarbi è davvero piacevole da leggere, sembra farci rivivere le stesse emozioni degli artisti, le stesse paure e le stesse emozioni dinnanzi alle loro opere. La sua abilità di indagare i dettagli, di analizzare le composizioni e di ricordarci aspetti significativi della biografia dei pittori, ma anche degli scultori, fanno dell’opera una piacevole lettura, apprezzabile anche da chi non conosce a fondo l’arte e le sue vicissitudini.

Les Demoiselles d'Avignon

Pablo Picasso, Les Demoiselles d'Avignon (1907)

Giacomo Ceruti detto il Pitochetto. Donne che lavorano al tombolo (1720)

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