“Gli uomini che hanno creato il primo razionalismo europeo non sono mai stati – fino all’età ellenistica – “semplici” razionalisti: vale a dire, erano profondamente e mentalmente consapevoli del potere, della meraviglia e del pericolo dell’irrazionale. Ma potevano descrivere quello che succedeva sotto la soglia della coscienza solo nel linguaggio mitologico o simbolico; non avevano nessuno strumento per capirla, ancora meno per controllarla” (Dodds, I Greci e l’irrazionale)
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Dionisio e Apollo erano così rivali in Grecia? Razionalità greca, un mito o un modello per i “moderni”? Qual è stata la vera mentalità degli antichi Greci? Differiva dalla nostra? Abbiamo ricevuto un’idea distorta dei Greci da generazioni di studiosi classici? La filosofia greca si basava davvero (come ci è stato insegnato) sulla netta divisione fra mito e storia, razionale/irrazionale? E qual è il significato di queste domande per la nostra società? Queste sono le questioni a cui tenta di rispondere Dodds in questo libro, pubblicato mezzo secolo fa, ma ancora attuale, fresco e pieno di rilevanze per noi postmoderni, storiograficamente meno ingenui rispetto a qualche anno fa. Dodds però non opera in un contesto di valorizzazione del mito e di qualificazione, come per esempio ha fatto un certo filone irrazionalisitico o come ha fatto Károly Kerényi nei suoi lavori sulla mitologia greca e sulla religiosità classica. Il suo scopo è più propriamente rivalutare una grecità costruita a tavolino dagli storiografi, e mostrarne contraddizioni e complessità.
Il libro comincia con l’analizzare il più importante, antico lavoro della mentalità greca a cui abbiamo accesso, l’Iliade. Qui troviamo Agamennone che offre in sacrificio sua figlia Ifigenia per ingraziarsi la volontà di Artemide e poter iniziare la spedizione militare contro Troia. Certo, versioni successive di tale episodio sostituiscono al sacrificio della figlia un animale, e denotano un’evoluzione della sensibilità greca. Agamennone stesso nell’opera è addolorato e atterrito per quello che gli chiede la dea. Ma ci sono numerosi altri passaggi in cui Omero sottolinea come una condotta imprudente, malefica e irresponsabile sia ugualmente attribuita a forze soprannaturali di un tipo o dell’altro. Dodd è convinto che queste spiegazioni non sono metafore o licenze poetiche, ma sono veri e propri fenomeni psicologici. In altre parole, i Greci di età arcaica avevano un diverso tipo di mentalità rispetto a noi moderni. Questa considerazione ha influenzato, tra gli altri, Julian Jaynes e, più recentemente, Antonio Damasio (entrambi citano Dodds), nel tentativo di avvicinare quei due mondi che Cartesio e certa storiografia avevano così strettamente separato, ragione e sentimento, calcolo e creatività (e intuizione), teoria/speculazione e prassi. Su questo filone, più lontane da Dodds ma ugualmente affascianti, le straordinarie analisi di Pierre Hadot e quella inegualiabile di Nock, La conversione: società e religione nel mondo antico, che mostrano e snaturano la classica immagine di una grecità filosofica tutta speculativa e razionale.
Dodds ritiene che sia avvenuta una transizione dalla “cultura della vergogna”, che ha caratterizzato il mondo dell’Iliade, alla “cultura della colpa” che emerge nella tarda civiltà greca, sulla falsariga di Nietzsche e della sua interpetazione basata sulla suddivisione fra apollineo e dionisiaco. Questa è un’idea importante della quale Dodds appare molto convinto, anche se soffre un po’ del vizio di essere fortemente influenzato dalla teoria psicoanalitica freudiana e dalle teorie sul mito di Jung, apparse quasi una scienza sicura nella prima metà del XX secolo e oggi messe in discussione (soprattutto Jung). Seguendo lo stesso tema, Dodds considera la questione di come i Greci consideravano i sogni, ma per fortuna, in questo campo evita di invischiarsi in speculazioni freudiane. Sottolinea invece come la valutazione dei sogni nell’antichità fosse estremamente differente rispetto a quella della modernità, specie nella considerazione della credenza secondo la quale gli dèi comunichino attraverso di essi con i mortali.
Forse la più audace e significativa idea del libro è l’ipotesi di Dodd riguardante l’influenza dello sciamanesimo sui Greci. Egli ritiene che l’apertura del Mar Nero al commercio greco nel VII secolo abbia introdotto ai Greci le culture asiatiche, più basate sullo sciamanesimo, e che ciò abbia influito sulla genesi di idee sul rapporto tra corpo e anima che apparvero anche in forma filosofica alla fine dell’età arcaica. Pitagora è citato come esempio di maggiore sciamano greco. Di lui si diceva che avesse la saggezza raccolta in dieci o venti vite umane. Orfeo, allo stesso modo, è considerato una figura sciamanica. Un po’ superficiali e affrettate invece appaiono le analisi di Dodds sulle scuole ellenistiche minori come l’Epicureismo.
Nel periodo classico del V secolo troviamo la grande fioritura della razionalità greca, in cui le credenze dei primi tempi sono state messe in discussione ed esaminate. Platone, il più autentico simbolo di questo processo assieme ad Aristotele (tralasciando i Sofisti), tuttavia diviene per Doods un simbolo ambiguo. Proprio a Platone, Dodds dedica un intero saggio. La sua razionalità ed il suo metodo s’imbevono di elementi magico religiosi, di chiara origine orientale. Ma questa razionalità già precaria venne subito sconfitta nel periodo ellenistico, dove si risvegliò l’entusiasmo per l’astrologia, la medicina magica, e l’alchimia. L’analisi storiografica dell’autore non si allontana molto da quella classica, che vede una grecità invasa dalle “mode orientali” (egiziane, medio orientali ed orientali) più irrazionali e mistiche. Il parallelo con la nostra situazione attuale è evidente, e questo è il motivo principale per cui Dodd continua ad essere così attuale. Dodd introduce una discussione sui possibili motivi di questo “volo dalla ragione”. Pur accettando, con riserva, alcune delle cause che sono state proposte da sociologi, filosofi e storici, egli ne offre una sua: la “paura della libertà“. Ad un livello più popolare, si manifestava la richiesta di un profeta o di una scrittura, mentre in epoca tardo romana o medievale si affermò un rispetto eccessivo per la parola scritta.
Francesco Di Matteo
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Francesco di Matteo è dottore di ricerca in filologia classica
E in continuo mutamento restando uguale, il cammino dell’ Esistenza che ci lascia, certi,di un magico superiore.
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