Qui il link per ordinare da Amazon l’ ultimo album di Eugenio Bennato: Questione Meridionale
— —
Una recensione era indispensabile. L’ho ascoltato tutto di un fiato, di regola mi lascio più tempo per farmi entrare musica e parole. L’ultimo album di Eugenio Bennato è un condensato di musiche di altri tempi (e altri luoghi) riportate dolcemente al presente. Suoni, per esempio, che somigliano a quelli della mia Puglia. Ma è anche un modo per entrare in un dibattito oggi più che mai acceso, quello della questione meridionale. “La storia è scritta dai vincitori”, questo è risaputo, per cui bisognava scavare dentro una storia non ufficiale per riesumare dall’oblio del tempo la vita di “briganti” e “brigantesse”. Bennato lo fa con la musica, si era capito. Ma è un discorso che ora si fa sempre più complicato, visto che dietro il dibattito storico e filosofico (mai neutro, giacché che non esiste la neutralità in qualsivoglia racconto) si nasconde anche la politica, per cui oggi si oppongono movimenti e partiti di ispirazione territoriale (non solo la Lega Nord, ma la anche la galassia dei partiti meridionalisti, come Forza del Sud, Grande Sud, o addirittura i gruppi Neoborbone e i Savoia). Allo scontro sulla “questione meridionale”, ai nuovi revisionismi più o meno storicamente fondati si aggiunge la pubblicazione di alcuni libri molto divulgativi e solo occasionalmente accademici che stanno pian piano erodendo l’immaginario collettivo, fino ad ora dominato dalla retorica risorgimentale, unitaria, patriottica e… antimeridionale.
Leonardo Sciascia ha scritto: “Sappiamo bene che c’era già una Questione meridionale: ma sarebbe rimasta come una vaga “leggenda nera” dello Stato italiano, senza l’apporto degli scrittori meridionali”. Il “meridionalismo”, una galassia certo non omogenea, va esattamente in questa direzione. Tantissimi anni dopo i pioneristici e preziosi studi di Francesco Saverio Nitti e di quel gruppo eterogeneo di studiosi chiamati “meridionalisti” (fra cui si possono annoverare Gramsci e Croce, che litigavano fra loro sull’interpretazione del sud e del brigantaggio), uno dei primi autori ad andare in questa direzione è stato Carlo Alianello. Ma mi riferisco anche ai libri più recenti (una sorta di neo-neo meridionalismo?) di Giordano Bruno Guerri, Lorenzo Del Boca, Roberto Martucci, Pino Aprile, Fulvio Izzo, Antonio Ciano e tanti altri. Avere messo questi nomi tutti insieme non significa uniformarli, ognuno di loro racconta una storia diversa ed ha obiettivi diversi. Non si tratta solo della “moda del libro nero”, ma di un fenomeno culturale più complesso. E certamente qualcosa accade. Accade che gli “eroi” dipinti dalla storiografia classica divengono personaggi più grigi, a tinte dualistiche meno definite, come i super eroi di Frank Miller rispetto a quelli classici. Garibaldi diviene, da eroe dei due mondi, un filibustiere, la guerra ideale dei Savoia diviene una guerra d’interesse, i briganti diventano gruppi di difesa territoriali dalle angherie dei Savoia o addirittura patrioti dei Borbone. Si scopre che i morti nelle guerre del brigantaggio (61-65) sono pari a quelli delle tre guerre di liberazione. Il problema della “mentalità meridionale” (se di problema si tratta) lo si fa dipendere dal depauperamento e dalla colonizzazione economica del sud. Accade cioè che gli “indiani” meridionali conquistati dai gringo diventano buoni, la loro cultura oggetto di interesse e rivendicazione; divengono i nuovi eroi, e i vari John Wayne risorgimentali si colorano di tinte più fosche. Il “brigantaggio” diviene una guerra civile post-unitaria. Emergono anche dall’oblio della storia i primi gulag costruiti dai Savoia per meridionali e “banditi”. Insomma, se Roland Barthes fosse stato vivo avrebbe potuto riscrivere I Miti d’oggi raccontando il passaggio da Cavour-Garibaldi a Carmine Crocco, magari anche grazie a fiction, film e libri che si sono accavallati in prossimità dei 150 anni dell’unità d’Italia. “Dimmi che miti hai e ti dirò in che epoca storica vivi” potrei dire. La storia però, come sa bene chi la studia, ha due tipologie principali di persone: i fabbricanti di eroi e chi ci crede. Ma nessun eroe. Sicuramente, si può restare impressionati dalla vita funambolica e incredibile di un personaggio come Mazzini o dello stesso Garibaldi, o di Cattaneo, personaggi del resto diversissimi e con idee altrettanto eterogenee: ma è la stessa decostruzione di eroismi e ideali in cui molti “patrioti” credevano (e da cui furono spesso delusi) che ci aiuta a fare la storia e magari ci aiuta a capire meglio il presente.
Eugenio Bennato entra in questo prezioso dibattito da ottimo musicista qual è, occupandosi, per così dire, dei “pesci piccoli”, di quei personaggi e di qui posti di cui la storia si occupa solo quando ha tempo, oppure quando ci sono interessi politici o sociali dietro. Come dicevo, lo fa con dei “sapori” più che con la storiografia. E racconta delle storie con uno stile musicale ed un parlato che richiama Fabrizio De Adré (a cui dedica, nell’album, un omaggio che non vi svelo). Ci racconta, al ritmo di tamburelli e tarantella, la storia di Michelina De Cesare, la brigantessa che fu esposta nuda alla popolazione locale dall’esercito piemontese nella piazza di Mignano e fotografata. La guerra meridionale fu, in effetti, una delle prime a combattersi anche con le fotografie. E dedica una canzone a Ninco Nanco, il celebre luogotenente dell’ormai leggendario “brigante” Carmine Crocco. La prima traccia dell’album è però dedicata a un’altra donna, Neda Soltani, una “brigante” dei nostri giorni. Neda è la studentessa uccisa dai cecchini nel 2009 in Iran durante una manifestazione. Bennato torna così a quel luogo unico al mondo, il Mediterraneo, miscuglio di lingue, suoni, e odori che avvicina la questione meridionale alla primavera araba (magari un giorno gli storici la chiameranno la “questione araba”). E da cantautore napoletano, Bennato riprende l’immancabile “Brigante se more”.
(Il sorriso di Michela, di Eugenio Bennato)