Il principio della deroga è da anni che esiste, sai chi lo ha inventato? La Malavita. Quando lo Stato deroga alla Legge non fa altro che copiare quello che fa la Camorra, perché la Camorra tutti i giorni deroga alla Legge. Fra la Camorra e lo Stato, c’è una sola differenza qui in Campania, che lo Stato per derogare fa un documento di carta mentre la Camorra se lo comunica a voce (Andrea)
Spesso si citano, per spiegare cosa sia la Shock Economy ed il capitalismo-governance dei disastri, libri e filosofi, intellettuali e sociologi. Il senso della Shock Economy, il senso del capitalismo emergenziale e del sistema che spesso viene messo in atto nelle nuove emergenze italiane e mondiali lo ha raccontato uno sconosciuto Andrea, un (mediaticamente) anonimo membro del comitato antidiscarica di Terzigno, intervistato da Annozero(1). Come vedremo, quello dell’emergenza, del rischio, è un problema che la filosofia politica sta affrontando sempre con più attenzione: solo per fare un nome fra i tanti, Ulrich Beck sta sviscerando da anni il rapporto fra libertà, biopolitica e rischio, o meglio, percezione del rischio. Un rischio che oramai entra nel corpo e lo struttura dall’interno. Qualcosa di più pervasivo della stessa “paura” hobbesiana. Sulla stessa lunghezza d’onda, i sociologhi-filosofi Anthony Giddens, Robert Castel e Zygmunt Bauman. Ma basterebbe anche pensare ai filosofi italiani Giorgio Agamben ed Ottavio Marzocca. Ogni rischio ha una salvezza. E la nuova salvezza secolarizzata la si ritrova proiettata nei nuovi super eroi dai poteri assoluti (e illiberali), nei leader carismatici di weberiana memoria.
Emergenza rifiuti ed emergenza terremoto sono solo due esempi paradigmatici italiani. L’opinione pubblica non ha mai realmente avuto i mezzi per farsi una idea della situazione campania, dopo che per anni i media allineati, compreso l’ufficio stampa della Protezione Civile in tipico stile aziendalistico, hanno “urlato” ininterrottamente che la crisi dei rifiuti in Campania fosse definitivamente e miracolosamente risolta. Niente di più sbagliato, niente di più antidemocratico, niente di più lontano dall’offrire un servizio al cittadino. Nel terremoto dell’Aquila le cose sono andate esattamente in questa direzione, avvallate da un sistema poco trasparente, antidemocratico e perennemente emergenziale (anche dopo un anno dal disastro) che, in deroga alle leggi vigenti, soprattutto in deroga alla Costituzione, ha controllato, manipolato e filtrato la comunicazione interna ed esterna e coordinato gli interventi sul territorio. Col il piano CASE si è sostituita, in campo progettuale e decisionale, alle istituzioni locali ed ai comitati dei cittadini, dilapidando preziose risorse da investire nella ricostruzione vera e propria del territorio. Il tutto, distribuendo appalti in maniera sospetta, spesso nepotista, comunque slegata dalle normali regole pubbliche (la magistratura sta tutt’ora ancora accertando gli illeciti della “cricca”), nonché sperperando, senza nessun rendiconto fiscale iniziale, milioni di euro dei cittadini, ad un prezzo superiore al mercato. Tutto in nome di un principio: l’Emergenza. Abusando della situazione emergenziale (più che indispensabile nelle prime dinamiche di una catastrofe come il terremoto), la si è fatta diventare strumento per imporre decisioni “a lungo termine” sul territorio, e si è manipolata la comunicazione facendo della Protezione Civile un’appendice dell’Ufficio Stampa del governo.
Dall’attuale “emergenza” della crisi economica, pretesto per ogni intervento non democratico su un territorio, dalla ristrutturazione emergenziale dell’Argentina nel 2001, dallo tsunami del sud-est asiatico, passando per Haiti, fino ai casi italiani qui citati del terremoto in Abruzzo e dell’emergenza rifiuti in Campania, vi si legge una regola sottesa, quella delineata da Naomi Klein(2). L’emergenza (come direbbe l’ex leader maximo della protezione civile, Bertolaso: “Abbiamo messo alcuni paletti fondamentali e abbiamo risolto l’annosa vicenda di chi comanda: in campo di protezione civile bisogna sapere sempre chi è il capo, non ci può essere democrazia in emergenza… Perché noi in Italia siamo sempre in emergenza”3) diventa, proprio a causa dell’abuso e dell’estensione di un tale concetto giuridico, una chiave per strutturare in maniera totalmente nuova il territorio da parte della governance vigente (ma anche da parte di settori della società che non hanno teoricamente poteri governativi, come le imprese private o le organizzazioni criminali), spesso una governance di emergenza ma che tende a riconfermarsi, con gli stessi uomini, nel tempo e nei luoghi di emergenza. Commissari straordinari, commissari delegati, nuovi governatori, sindaci sceriffo, ordinanze, ordinanze di emergenza, decreti legge (in aumento esponenziale), esautoramento del potere del Parlamento, tutte queste sono le nuove chiavi (e sono un vero e proprio nuovo lessico) per andare in deroga alle leggi, per accaparrarsi e distribuire appalti, per ricreare ad hoc un nuovo tessuto sociale (spesso, proprio a causa di una crisi, in disfacimento, e proprio per questo più vulnerabile) e conquistare nuovi mercati sostituendosi ai vecchi, creare con la forza dell’autorità nuovi equilibri, o meglio, squilibri. Emergenza traffico, e via alla costruzione, in deroga, di mostruosi parcheggi a Milano; emergenza energia e perché no, torniamo al nucleare bypassando la volontà referendaria. Emergenza lavoro: il modello emergenziale della Fiat sui contratti, da essere un’eccezione (il modello “Pomigliano”), viene esportato e diventa la norma. Emergenza immigrazione, emergenza Rom, sembra che ogni vissuto sociale venga costruito in maniera emergenziale, solo per poter intervenire in maniera più incisiva e drasticamente illiberale. L’ultima grande crisi è quella economica. Ed infatti, ultimamente c’è stato un salto di qualità: ora, anche il governo italiano è un “governo d’emergenza”, con Mario Monti, premier non eletto, che possiede anche il ministero dell’economia. Paradossalmente, all’italiano non resta che sperare che almeno la monarchia assoluta sia illuminista, ed illuminata.
Il nuovo vero grande potere assoluto oggi sembra essere quello di dichiarare un’emergenza. La vera domanda è: chi dichiara le emergenze? Quando poi l’emergenza è conclamata ed evidente, come lo è stata all’Aquila, vi si risponde con autoritarismo e con ogni strumento atto ad eliminare dissensi e concertazione democratica nel risolvere i problemi. Il tutto, naturalmente, gestendo una comunicazione che giornalisti come Alberto Puliafito, Piero Messina e Manuele Bonaccorsi hanno definito “di guerra”, paragonandola alla comunicazione che esiste nei campi profughi palestinesi. A febbraio 2010 si è evitato, per lo scandalo delle indagini sugli appalti della Protezione Civile, la sua trasformazione in Spa. Con la nuova gestione di Franco Gabrielli le cose sembrano stiano andando meglio. Ma il caso particolare “Protezione Civile” sembra essere solo la punta dell’iceberg di una nuova governance non solo italiana, ma globale.
Costituzione ed emergenza non vanno d’accordo, questo i padri costituenti lo sapevano bene, e proprio per questo la parola “emergenza” non compare nella Costituzione. Storicamente, anche i Romani la temevano, ed il dictator (nato, tanto per cambiare, per rispondere alla emergenza della guerra) era visto sempre con sospetto, con timore repubblicano. Silla, nella crisi istituzionale contro Mario, si proclamò dictator legibus scribundis et rei publicae costituenda, salvo che Silla, a differenza dell’attuale governatore della Lombardia, dopo pochi anni di “potere assoluto emergenziale(4)” si ritirò a vita privata. Dalla lezione della storia, il filosofo tedesco Carl Schmitt ha detto esplicitamente: “Sovrano è colui che decreta lo stato di emergenza”(5), proprio perché in uno stato d’eccezione si è liberi di fare ciò che si vuole, soprattutto quando l’eccezione al diritto diventa una costante dell’agire politico. Ottavio Marzocca, un acuto studioso italiano di Foucault, chiama significativamente il continuo ricorso all’emergenza “governo del day after” (in AA. VV., Governare l’ambiente? La crisi ecologica tra poteri, saperi e conflitti, a cura di O. Marzocca, Mimesis). Proprio in questa direzione va lo studio del filosofo italiano Giorgio Agamben, Lo stato di eccezione, un libro letteralmente immenso per i tanti spunti di riflessioni che offre. E mentre i filosofi scrivono ed i giornalisti fanno le loro inchieste (i pochi non allineati), i governi del fare propagandano in maniera martellante la lentezza della macchina burocratica, e con questa scusa trasformano ideologicamente il reale, costruiscono delle Guantanamo del diritto dove ogni cosa è permessa. Il tutto usando uno strumento che dovrebbe essere straordinario, emergenziale, ma che sta diventando una costante della nuova governance bipartisan italiana, il commissario straordinario.
Nell’era dei tagli, della crisi e degli sprechi amministrativi, la giornalista Milena Gabanelli(6) ha chiesto alla Corte dei Conti quanti siano i commissari in Italia, senza avere risposte precise. Si dovrebbe essere nell’ordine di circa diecimila commissari unici, ma la cifra è solo probabile, visto che neanche la Corte dei Conti è autorizzata a monitorare le loro spese e, in ragione di ciò, non esiste un vero censimento di questo fenomeno, né dei loro sprechi. L’emergenza, dunque, da essere un accadimento limitato, diventa la consuetudine. In nome dell’emergenza, tutto è secondario, pure il diritto. Questo nuovo potere assoluto neoliberale si configura prepotentemente come una reale catastrofe per le istituzioni democratiche. Da strumento limitato, nel tempo e nella casistica, il Commissario è diventato la regola, la prassi. Un metodo grazie al quale intervenire biopoliticamente, direttamente e senza mediazioni istituzionali e contrattuali, sul territorio, grazie al quale inserirsi nella vita, nei corpi delle persone che spesso, come nel caso dell’Aquila, hanno subito vere catastrofi, vere emergenze. Un simile strumento con l’abuso diventa illiberale e distruttivo, è potenzialmente in linea con l’idea del premierato forte voluta da diversi gruppi politici, del resto bipartisan. Un ulteriore esempio: l’ordinanza governativa n. 3275 del 28 marzo 2003 stabiliva la creazione di un mostro illiberale, legibus solutus come il re Sole. Guido Bertolaso, nominato “commissario delegato per l’attuale crisi internazionale” diventava lo strumento per amministrare una sorta di azienda nelle mani del Capo del Governo, che dal canto suo è libero di proclamare “grandi eventi”(7) e trattarli alla maniera di una emergenza-terremoto aquilana. Guido Bertolaso (ei fu), già commissario straordinario di altre sei presunte emergenze (compresa l’area archeologica romana) assumeva così una pericolosa concentrazione di poteri per intervenire sul territorio in maniera autoritaria, depenalizzata e defiscalizzata, antidemocratica e slegata dalle istituzioni, divendo lo strumento e il diretto interessato di azioni che poco hanno a che fare con la democrazia, la trasparenza e la partecipazione pubblica. Faremo lezione, per il futuro, della pericolosità di una tale concentrazione di poteri? Leggendo il presente, sembra di no. Anche perché lo spazio decisionale si riduce sempre di più e le democrazie sembrano , ora più che mai, dei contenitori vuoti, svuotati dai leader forti, sempre più carismatici, sempre più assoluti.
NOTE
1 Puntata del 30 Settembre 2010
2 Cfr. con il suo concetto di Shock Economy, o Shock Doctrine
3 Pizzi A. (2006), Quando la terra trema, Milano, Edizioni il Sole 24 Ore, pp. 74-75
4 Sul nuovo e neoliberale “potere assoluto”, per quanto riguarda Bertolaso, questo articolo seguirà molto l’inchiesta di Bonaccorsi in Potere assoluto, la Protezione civile al tempo di Bertolaso
5 Sono le prime parole della sua opera Politische Theologie (1922)
6 Report, puntata “Perché… I commissari?” Del 22 Maggio 2005