(nell’immagine, il film “Primavera, estate, autunno,inverno… e ancora primavera“, di Kim Ki-duk)
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La filosofia non parla più della vita. Nella storia della cultura occidentale è avvenuta una frattura (non certo recente) fra vita e pensiero. Ma anche fra filosofia speculativa e pratica. Il libro di Giangiorgio Pasqualotto cerca di rimediare a questo discrimine svolgendo un iter articolato in otto interventi, un viaggio tra occidente ed oriente alla ricerca della saggezza del vivere. Del resto, lo studioso è uno dei massimi esperti italiani di pensiero filosofico orientale e più volte ha affrontato la tematica di un Oriente che avrebbe tanto da raccontare al nostro Occidente, un Occidente grecista ed eurocentrico che crede di aver inventato il pensiero, oltre che la filosofia. Lo studioso segue un cammino intrapreso già da Pierre Hadot (Esercizi spirituali e filosofia antica), Foucault (L’uso dei piaceri, La cura di sé), in parte dalla Nussbaum (Terapia del Desiderio) e da Panikkar: paragona perciò particolari pensieri filosofici orientali e occidentali interpretabili come “stili di vita”, il cui scopo non risiede nella mera acquisizione di dati sulla struttura della realtà, quanto piuttosto nell’annullamento del dolore, nel riconoscimento e nel controllo delle passioni, nella pratica della libertà e del “conosci te stesso” – un “te stesso” che però non è separato da tutto il resto.
Nel confrontare pensieri occidentali e orientali (e sottolineo la loro pluralità), Pasqualotto non si limita a rilevare le analogie, ma anche gli scarti, già a partire dalle basi stesse: se “il quesito cruciale dei filosofi occidentali è: ‘Che cosa è la verità?’”, i sistemi cinesi e indiani si sono soffermati prevalentemente sull’applicazione della “legge” o “via” alla vita (come il Dharma o il Tao), utilizzando un metodo olistico e una meditazione legata ad un atteggiamento corporeo più che – al contrario di quanto avviene in Occidente – all’esercizio razionale immaginativo o intuitivo.
La physis e il “tutto scorre” teorizzati da Eraclito vengono così accostati al Tao-natura e alla dottrina dell’impermanenza, con sorprendenti analogie che investono persino il livello testuale; si rivela simile a quella taoista anche la visione eraclitea della saggezza, e il Tao, nota Pasqualotto, pare inoltre consustanziale alla Natura (o Dio) dell’etica spinoziana.
Anche a Nietszche sono dedicate pagine significative. Il buddismo zen mostra curiose rassomiglianze col pensiero del filosofo tedesco: oltre alla non sostanzialità dell’io, essi condividono la non opposizione fra oggetto e soggetto, la critica del “sublime”, dell’intenzionalità dell’azione, dell’idea che vi possa essere un’essenza distinta da quella del mondo, di un dover-essere etico, a favore invece di una riscoperta dell’essere. Stupisce constatare anche altre pregnanti affinità, sintetizzabili nella similare concezione del “sapiente” e della pratica di saggezza; addirittura il Satori (l’Illuminazione Zen) tende a coincidere con l’Eterno Ritorno nietzschiano, al punto che in alcune occorrenze è arduo distinguere le massime zen dalle citazioni di Nietzsche: “Vuoi prendere commiato dalla tua passione? Fallo pure, ma senz’odio per essa! Altrimenti hai una seconda passione” (Nietzsche, Aurora).
Nel suo complesso percorso, Pasqualotto ferma la sua attenzione anche sulle discordanze tra il Karuna (la compassione buddista) e il Mitleid (compassione) di Schopenhauer, solitamente ritenuto un orientalista ante-litteram. Malgrado i due concetti siano spesso accomunati, in realtà esibiscono profonde differenze sin dalle radici: se per il filosofo tedesco il saggio dovrebbe sopprimere la volontà di vivere, il vero buddhista è intenzionato a liberarsi anche dalla brama stessa della non-esistenza, cercando piuttosto un cammino che sia una “via di mezzo” (majjhimā patipadā).
La parte conclusiva del volume si concentra sulla differente concezione della natura in Asia e in Occidente, che si dibatte tra olismo (la natura e l’uomo intesi come un unico organismo), scientismo (la natura come oggetto da conquistare; Pasqualotto collega questa idea anche al giudaismo-cristianesimo) e vie di mezzo, cercando di superare le opposizioni (come quella fra scientismo ed antiscientismo), sulla scia di autori come Whitehead e Capra. Nell’ultimo saggio, lo studioso affronta un tema tanto desueto quanto interessante: i “rimedi” filosofici orientali alla malinconia. Riprendendo e spiegando la psicologia buddista, Pasqualotto illustra le cause della cosiddetta “atra bile“: essa dipenderebbe dall’errata convinzione che esista un “io” (mentre per il buddismo ogni realtà è anatta, cioè priva di consistenza autonoma, poiché “dipende talmente da altri che non è nulla per sé o in sé”) e dalla fallace illusione di una consistenza assoluta di ciò che viviamo temporalmente. Per Pasqualotto, la pratica-teoria buddista aiuterebbe a superare qualsiasi forma di malinconia (aggressiva come masochista), eliminando l’attaccamento all’esigenza di riconoscimento che abbiamo verso gli altri per approdare all’abbaya, la “non paura”, tramite la serena accettazione della transitorietà e dell’inconsistenza, così efficacemente sperimentate da Bashou e Kenko nei loro scritti.
(quest’articolo è stato pubblicato anche su: www.bibliotecagiapponese.it)
Oriente e Occidente sono molto vicini, e spesso si toccano. Ma filosofia antica, Greca e Latina, è, per noi occidentali, molto più comprensibile e praticabile. E’ più vicina alla nostra visione del mondo. Ed è uno strumento potente, capace di conferire senso alle nostre vite. Anch’io, come Seneca, le attribuisco “il merito d’avermi rimesso in piedi. Le devo la vita, nulla meno.”
Io sono invece un’analfabeta, filosoficamente parlando, ma credo che molte siano le analogie, le possibilità di accostare mondi e concezioni del mondo che siamo stati abituati a considerare lontani. Questa possibilità nasce sia dai contatti che nel corso dei secoli, più spesso e più anticamente di quanto si pensi, ci sono stati tra le varie civiltà, sia da un “sentire” che è comune all’uomo in qualunque area della terra (ieri più di oggi forse, ma su questo devo ancora riflettere). Saluti.
Suggerisco, a chi interessa il risvolto pratico della filosofia, di seguire lo sviluppo del pensiero di Romano Màdera e di Luigi Vero Tarca. Entrambi, come forse qualcuno già saprà, hanno scritto nel 2003 uno splendido libro intitolato “La filosofia come stile di vita” (Mondadori). Su http://www.megachip.info, nella sezione Pensieri Lunghi, trovate due interviste a questi filosofi.
Buona lettura,
Paolo B.