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Questa non vuol essere una recensione. Un Giappone un po’ diverso da quello descritto da Barthes (ne l’Impero dei Segni) si è presentato durante la mia breve visita di due settimane. Non riesco a idealizzarlo come ha fatto lui, in chiave di non-occidente. Bisogna ammetterlo però, ogni luogo comune, anche alcuni di quelli riportati dal filosofo, ha una qualche verità di fondo che lo giustifica. Bathes, ad esempio, parla di ritualità, di nipponici che per darti (molto più che un semplice dirti) un “grazie” impiegano nel loro inchino tutto il loro corpo, non solo una parola. Del resto, l’ossessione del rito la si respira ovunque in Giappone. Dai capistazione, agli usceri, ai vigili “pedonali”, dalla scrittura col pennello fino al famoso e mitologico (in occidente) tiro con l’arco, da ogni lavoro o ruolo sociale che in quanto tale fa parte di una precisa gerarchia, ogni atto umano s’inserisce in un qualcosa di noto, in un solco già tracciato di regole precise e gesti precisi, precisi e puntuali come un treno della JR (Japan Rail).