Dell’arma della retorica ci siamo già occupati in questo post (link). Inutile dirlo: gli italiani nel Novecento hanno fatto scuola. Goebbels e Hitler, ma anche Stalin, non sarebbero nulla senza la lezione di Benito Mussolini, il quale non andava a letto senza ripassarsi “Psicologia delle masse” del sociologo Gustave Le bon. Sull’invenzione della “propaganda” nel Ventennio italiano, e sulla fabbricazione del consenso, vi è in rete un ottimo documentario con preziosi filmati inediti dell‘Istituto Luce (link). Lui, Benito Mussolini, ha fabbricato un vero e proprio culto della sua persona che dura fin’ora, basti vedere le processioni di “nostalgici” (usando un eufemismo) che ancora si recano a Predappio, luogo della sua tomba. Il fascismo infatti, prima di qualsiasi altra analisi, è stato un fenomeno religioso, su questo basti consultare il prezioso studio di Emilio Gentile “Il culto del Littorio“. Mussolini si è mostrato a foto, cinegiornali, giornali e radio (rigorosamente di regime) in tutte le salse, organizzando in maniera scientifica (cioè, nulla lasciando al caso) la propria immagine: pater familias, amante leggendario (circondato da mille amanti, capace di possederne 10 al giorno, ma pubblicamente fedele ad una sola), abile ed eterno sportivo, unico stratega, unico generale, musicista, ballerino, devoto (quanto basta, ma ancor più fedele alla patria), aviatore, motociclista, marinaio, agricoltore, operaio, e chi più ne ha più ne metta. Ogni aspetto della vita sociale e politica assumeva in lui un archetipo, un modello. Così, anche l’ antropologia era ben delimitata, con una netta distinzione di ruoli fra maschio e femmina: su questo punto, vedasi il bellissimo film, vero e proprio specchio dell’epoca (ma sicuri che sia tutto finito?), Una giornata particolare (link).
Nella seguente carrellata di immagini (che potrebbe essere molto più lunga, ci siamo limitati parecchio), è possibile notare quanto altri “abili dittatori” postmoderni (usando un altro eufemismo) si affidino ancora a tecniche comunicative già ampiamente sperimentate nel Ventennio fascista italiano. Purtroppo, continuiamo a fare scuola, non solo nella pseudodemocrazia russa, ma anche nelle democrazie occidentali, dove il leaderismo (benchè sfrutti simboli e immagini un po’ meno “archetipe” e guerriere di quelle sottostanti) è diventato la parola d’ordine degli spin-doctor del consenso.