Ripensare la filosofia e l’ambientalismo. Tre recensioni contro l’antropocentrismo

Contro una filosofia fondata sul diritto alla vita, all’espressione e … alla morte dei viventi. «Soltanto per loro» di Leonardo Caffo (qui il link per uno sconto Amazon del testo), «Ai confini dell’umano» di Massimo Filippi (qui il link per uno sconto Amazon del testo) e i saggi di «NellAlbergo di Adamo» (qui il link per ordinare il libro con uno sconto Amazon)
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Il problema dell’animalismo è che la questione dell’animalità, in realtà, non riguarda gli animali. O meglio, non riguarda solo gli animali (non umani). In effetti il limite di molto animalismo è quello di credere che ci si possa occupare del benessere animale senza occuparsi anche di quello degli animali umani. C’è un’unica logica che lega gli orrori del mattatoio con quelli dello sfruttamento dei lavoratori, dell’espropriazione dei beni comuni, della trasformazione della stessa vita umana in merce.Per questo, come scrive Leonardo Caffo in Soltanto per loro. Un manifesto per l’animalità attraverso la politica e la filosofia (Aracne, pp. 136, euro 9), «dev’essere chiaro fin da subito che essere animalisti, in senso forte, significa fare una scelta politica». L’animalismo o sta dalla parte di un radicale cambiamento dell’assetto sociale esistente, oppure si condanna da solo all’irrilevanza. Finché l’unica logica ammessa è quella della valorizzazione del capitale, non sarà possibile salvare la pelle né di una mucca né di un minatore. Il problema non è quello di preoccuparsi di far morire in modo non troppo cruento un maiale (anche se è un problema urgente e importante), piuttosto quello di provare a immaginare un’organizzazione sociale non basata sullo sfruttamento e l’espropriazione della vita: «ciò che sembra necessario è rendere collettiva una scelta non violenta ma non lo si può fare sperando, ‘semplicemente’, che un giorno i supermercati sostituiscano al bancone di carne e formaggio rispettivamente quelli di seitan e tofu. Ciò che sembra necessario è mettere in discussione la struttura stessa del supermercato e dei sistemi affini che forniscono una presunta libertà di scegliere fra ciò che è già stato scelto a monte». Per salvare il pollo occorre capire come funziona l’economia politica, prima ancora che provare a stabilire se un pollo ha o no una vita mentale. Anche perché, è ancora Caffo a metterci in guardia, altrimenti è forte il rischio di cadere nell’antropomorfismo, un rischio in cui anche molti animalisti continuano a cadere. È, per esempio, uno strano modo di amare gli animali quello di chi dice del proprio cane (quale stranezza, essere padroni di una vita) che gli manca solo la parola: cioè che quel cane è da amare non perché è un cane, bensì perché è quasi un uomo.

La questione dell’animalismo è pertanto quella di una politica e di una filosofia che pongano al centro dell’attenzione il «diritto alla vita, all’espressione, alla morte» dei viventi. A partire, come ci ricorda Darwin, dalla infinita diversità delle forme di vita. Qui è da segnalare il libro di Massimo Filippi, Ai confini dell’umano. Gli animali e la morte (ombre corte, pp. 95, euro 10), che affronta il tema della «macchina antropologica», cioè dell’operazione mediante la quale la filosofia (come la religione) ribadisce la separatezza dell’umano rispetto all’animale. Una separatezza che arriva, con Heidegger, a sostenere che gli animali, in realtà, non muoiono, perché possono solo decedere, mentre la morte è una prerogativa esclusivamente umana. Ma che significa che gli animali non muoiono? Che l’umano è comunque qualcosa di radicalmente diverso dal resto dei viventi. Ora, già nell’assurdità stessa di parlare dell’animale al singolare, dell’animalità in generale, è implicita una separatezza che tanto più è falsa tanto più sempre di nuovo deve essere ribadita.  Filippi ricostruisce l’apparato concettuale che permette questa operazione, non per mostrare che l’umano non è altro che un animale (mossa speculare a quella dello specismo separatista), ma per mettere l’umano fra gli altri animali. E mette in evidenza il paradosso dell’antispecismo, che nella fretta di parificare l’animale all’umano continua a «ignorare il verso dell’animale, la cui morte ha reso possibile il diritto dell’uomo». Non si possono difendere i diritti animali a partire da quelli umani, dato che questi esistono solo in quanto basati sull’esclusione dell’animalità (l’uomo è ciò che non è animale).  Una base comune per ripensare la questione animale può essere, allora, proprio quella della mortalità che accomuna i viventi: «questa ‘possibilità dell’impossibilità’ accomuna umani e animali non perché essi muoiono allo stesso modo (che cosa può significare una frase del genere?), ma perché entrambi com-patiscono, sostano pazienti in un’esposizione senza garanzie». A dispetto di Heidegger muoiono umani e virus, e tutti gli altri viventi. Non c’è un unico modo di vivere, come non c’è un solo modo di morire: «passare il confine della morte significa passare il confine tra noi e l’animale, distendere le maglie del ‘paradigma confine’ fino a trasgredirlo, fino a violarne la natura di proprietà privata, trasformandolo in territorio».

E così di nuovo torniamo al tema politico dell’animalità, quello di una vita non mercificata. Al centro di questo progetto c’è, di nuovo e ancora, il corpo, che «è l’eminentemente vulnerabile che condividiamo con tutto il vivente»; quel vivente che «è proprio l’accettazione di tale vulnerabilità che pervade l’esperienza affettiva, potenzialmente compassionevole, ospitante e cordiale verso gli altri corpi».  La questione dell’animalità, pertanto, «costituisce l’impensato della nostra civilizzazione», come scrivono Massimo Filippi e Filippo Trasatti nell’introduzione alla raccolta di saggi Nell’albergo di Adamo. Gli animali, la questione animale e la filosofia (Mimesis, pp. 317, euro 22): lo sfruttamento dell’animale è il paradigma e il modello di quello umano (al proposito si rilegga il tremendo libro di Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, Editori Riuniti, in cui si mostra come la burocrazia nazista si ispirò ai mattatoi per organizzare lo sterminio di milioni di esseri umani).  Fra i numerosi e interessanti saggi di questo libro, che si può leggere come prima approssimazione a quegli animal studies ancora poco noti in Italia, segnaliamo quello di Marco Maurizi, che affronta il difficile tema del rapporto fra marxismo e mondo della natura. Che posto assegnare, agli animali, in una società senza classi? «L’animale, sia esso ridotto a merce o asservito come mezzo di produzione, è un ingranaggio della società di classe che aspetta, come altri, la propria ridefinizione in una società socialista». La liberazione dell’animale non potrà avvenire senza una parallela liberazione dell’umano, «perché ciò che di essenziale la sua domesticazione ha prodotto per noi non è la carne di manzo o l’avorio, ma il dominio che attraverso questi si esercita sull’uomo. L’assoggettamento dell’animale non rientra nella storia della libertà dell’uomo ma in quella della sua stessa schiavitù».

(Articolo di Felice Cimatti Quella falsa separatezza fra la nostra e le altre specie” tratto da Il Manifesto)

Werner Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci. Una recensione

Statua di Zeus, copia di originale greco (IV secolo AC)

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Il  titolo e l’intero libro rispecchia la traduzione italiana, curata da Ervino Pocar, dell’opera originale dello Jaeger che è la seguente: Die Theologie der frühen griechischen Denker, Stuttgart, 1953. Nella precedente produzione letteraria dell’autore, relativa ai pensatori greci, erano già presenti alcuni temi afferenti alla loro spiritualità (1) e paideia (2), nonché la sua piena versatilità verso la filosofia greca, in particolare verso Platone e Aristotele, non mancando qualche digressione su Posidonio e Demostene (3). Se da un lato il presente contributo si colloca nella stessa prospettiva dei precedenti, perché l’ambito della sua ricerca orbita intorno ai filosofi greci, dall’altro supera o meglio completa i precedenti, perché l’oggetto del presente contributo – che è la teologia – non è altro, per l’autore, che la meta finale del progresso spirituale e formativo dello stesso spirito greco.

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Michela Marzano, Estensione del domino della manipolazione, una recensione di Rezi Perelli

Dino Valls, "Noxa"

“Privilegio di una minoranza, il capitalismo è impensabile senza la complicità della società…è necessario che, in un modo o nell’altro, l’intera società ne accetti, più o meno consapevolmente, i valori”. Fernand Braudel, La dinamica del capitalismo

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Estensione del dominio della manipolazione. Dalla azienda alla vita privata (Oscar saggi)

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Il saggio illustra con semplicità (si legge la prima volta in quattro, cinque ore) come la cultura d’impresa abbia negli ultimi anni influenzato e determinato anche quella accademica, con la pretesa di sostituirsi ad essa come agente di cambiamento sociale (“istituzione totale capace di restituire senso alla nostra società”); si parla di estensione del dominio della manipolazione, proprio perché si è portato il linguaggio strutturato del management nella sfera privata. La Marzano ci vuole aiutare ad aprire gli occhi su un pericolo da non sottovalutare, quello della mentalità manageriale che sta invadendo da tempo la vita quotidiana, tanto da poter dire che oggi si “vive per lavorare”, e non più “si lavora per vivere”. Sta passando il messaggio che nel lavoro ci sia tutto l’essere, che l’individuo sia il lavoro che fa, ampliando il “sei quello che hai” (E. Fromm), il lavoro, insomma, come specchio dell’anima dell’uomo: “Ma nel momento in cui si identifica completamente con gli interessi dell’azienda, l’individuo perde la capacità di percepire la manipolazione cui è sottoposto. La relazione fusionale funziona talmente bene che un rischio mal gestito o un errore commesso precipiteranno il lavoratore in un vuoto esistenziale. Ha fallito dinanzi a coloro che si fidavano di lui, non è stato all’altezza delle aspettative: le aspettative altrui, ma anche le sue… Che senso ha la sua esistenza?”.

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Omaggio al maestro. Recensione a Tristi tropici di Claude Levi-Strauss

L'antropologo Claude Levi-Straus in Amazzonia, 1936

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): TRISTI TROPICI (Maestri del ‘900)

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Ricordo quando, da matricola in filosofia, lessi quest’avventura antropologico-filosofica. Purtroppo, non mi fu proposta da docenti né da qualche gruppo universitario, ma mi capitò fra le mani in maniera quasi accidentale, come una mela in testa. Mi rimase dentro, e la sento tutt’ora, vivida, nella mia formazione. Il mio fu un viaggio mentale: uscii dalle mie certezze, dalla mia cultura, dalla mia università, dalle mie discipline, dal mio mondo. Il viaggio muta il pensiero, è come un pellegrinaggio religioso, ma quando si viaggia non si può essere mai del tutto neutri, “tabula rasa” come vorrebbe la più ingenua delle antropologie culturali. Claude Levi-Strauss, morto nel 2009 a cent’anni di vita (tutt’altro che passati in solitudine) era convinto che quando si viaggia si è sempre qualcosa, qualcuno. Scriveva Chateaubriand che ogni uomo “porta in sé un mondo composto di tutto ciò che ha visto e amato, a cui ritorna continuamente anche quando percorra e sembri abitare un mondo straniero”. Recensire il più classico dei libri di antropologia del più noto antropologo del ventesimo secolo non è certo facile. “Tristi tropici” è un’avventura della conoscenza, un cruciale viaggio mentale al quale ci hanno abituato solo i grandi filosofi. Un romanzo più che un saggio scientifico. Ma non solo. E’ finalmente anche un viaggio reale e non solo mentale, con questi appunti e riflessioni del suo avventuroso studio etnologico in Brasile, immediatamente dopo aver conseguito la sua laurea in filosofia a Parigi. Un viaggio in piroscafo che illuminerà la cultura europea e mondiale che allora stagnava nelle paludi del razzismo, dell’ottimismo tecno-scientifico, della guerra, del darwinismo sociale, nel mito lineare del progresso e in una crisi economica mondiale che certo non migliorava le cose, anzi, spesso le peggiorava. Contrariamente a quello che potrebbe sembrare, la carriera di questo studioso nasce da cose semplici e inconfessabili, da ben noti istinti sociali (o a-sociali) primordiali. Scrive: “Ho ricercato la mia strada molto a lungo… in etnologia son un completo autodidatta. Una prima rivelazione l’ho avuta per ragioni inconfessabili: smania di evasione, desiderio di viaggiare”. Subito dopo la laurea, arrivato nel 1934 in Brasile per ricoprire una cattedra di sociologia a San Paolo, Levi-Strauss organizza dei viaggi in una nazione ancora inesplorata, che lo porteranno a contatto con popolazioni già contaminate dalla colonizzazione ma non ancora distrutte. Questa atmosfera di crisi e decadenza regna in tutto il libro. Qualche critico l’ha definita un’atmosfera lucreziana, ed è infatti una citazione di Lucrezio che Claude riporta nella prima pagina del suo libro: “nec minus ergo ante haec quam tu cecidere cadentque” (il senso di questa frase, nel suo contesto originale è: tutte le cose che ti sono precedute sono morte, allo stesso modo soccomberanno quelle che verranno dopo di te). Una decadenza che andava in netto contrasto, per esempio, con quel clima teleologico, quel vitalismo spiritualista e meliorista della storia che si respirava in Europa, creato e vissuto, fra gli altri, dalle voci più insospettabili come quella di Henri Bergson, allora di moda in tutta l’Europa, non solo in Francia. Pochi anni più tardi, il secondo conflitto mondiale ed il suo tremendo carico di morti avrebbe insanguinato l’Europa ed il mondo intero. All’interno del libro troveremo, fra le altre cose, abbozzi di quelle straordinarie intuizioni e riflessioni, sviluppate in altri suoi lavori, che faranno di lui l’innovatore dell’antropologia mondiale, ferma da lungo tempo a quelli stessi schemi mentali e filosofici che combatte nel corso del libro. Da Freud, Levi-Strauss impara che le antinomie statiche come “razionale” e “irrazionale” erano “non altro che giochi senza senso”. E, nel suo modo tipicamente antiprogressista ed eclettico di fare ricerca, trovò ispirazione perfino dalla geologia, una scienza che studia la natura dimostrando “la diversità vivente” e che “giustappone un’ età all’altra e le perpetua”. Ma oltre all’allora nascente strutturalismo, di cui lui è uno dei pincipali fondatori, è stato il marxismo che ha contribuito a completare il suo straordinario percorso intellettuale.

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Le rovine di Milano, di Giovanni Agosti. Una recensione a cura di Erica Trabucchi

Area di San'Ambrogio durante i bombardamenti di Milano del 1943

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Le rovine di Milano (Serie bianca)

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Recensire l’ultimo piccolo lavoro di Giovanni Agosti non è semplice; primo perché racconta di fatti e personaggi di un passato recente di cui chi non ho fatto parte, di quegli anni Ottanta che mi sono stati raccontati perché ero troppo piccola per ricordarli. Il testo è tutto incentrato su Milano, una città che a detta dell’autore, vive da parecchi anni una crisi culturale dalla quale non è in grado di uscire. “Questo breve feuilleton critico è stato scritto, di settimana in settimana e a rotta di collo, tra giugno e luglio 2011” ed è comparso in più parti su “Alias”, il supplemento culturale del “Manifesto”, prima di trasformarsi in libello ed essere pubblicato da Feltrinelli nell’Ottobre dello scorso anno.

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Hugo Cabret, cinque oscar in filosofia. Recensione di Marina Bernardini

Scorsese celebra Méliès, l’uomo che rubò il fuoco agli dèi per donare i sogni agli uomini

Orologi, ingranaggi, meccanismi da un lato. Magie, disegni, poesie dall’altro.

L’ultima fatica del cineasta americano Martin Scorsese, Hugo Cabret, trasposizione cinematografica del best seller The Invention of Hugo Cabret di Brian Selznick (La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, nella traduzione italiana curata da F. Paracchini ed edita da Mondadori nel 2007), rappresenta uno slancio dall’imponente magnificenza visiva, arricchita dalla tecnologia 3D, atto a rimuovere una dicotomia avvertita come esteriormente dilaniante e intimamente alienante. Uno straordinario “viaggio attraverso l’impossibile” nel magico mondo del cinema degli esordi che costringe ad abbandonare visioni unilaterali e stereotipate che vedono la tecnica e la fantasia come due mondi contrastanti e inconciliabili.

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Bias utili, i limiti della ragion pura. Recensione a “L’errore di Cartesio” di Antonio Damasio

Il capitano Kirk e Spock, emblemi cinematografici rispettivamente delle passioni umane e della ragione. Nonostante siano in antitesi, i due protagonisti sono uniti da una profonda amicizia

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo: L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano (Biblioteca scientifica)

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E’ da sempre un imperativo categorico. Separare l’emozione dal ragionamento. E così facendo, si perdono le basi stesse di ciò che chiamiamo ragionamento, ciò che lo anima, lo motiva, né da i valori, il respiro, qualche volta anche il metodo. C’è una moda culturale che ha origini antiche fra gli studiosi che si occupano del problema mente – cervello: quella di concentrarsi sul ragionamento e sulle facoltà logiche, e di considerare le emozioni come una “complicazione” piuttosto deplorevole, di nessuna reale importanza per la reale comprensione di come funzioni la mente. Se invece danno importanza alle emozioni, se sembrano considerarle nelle loro teorie, le vedono come qualcosa di separato dall’attività intellettuale, come se la nostra mente fosse l’equivalente malfunzionante di un computer (una riduzione che spiega benissimo Roberto Marchesini nel suo Post Human, qui la recensione). Questa moda culturale, secondo Antonio Damasio, è l’”errore di Cartesio”, Cartesio a cui è notoriamente attribuita la frattura moderna fra mente e corpo, fra ragione ed emozioni. Damasio è un neurologo portoghese molto eclettico che si è convinto, tramite le sue osservazioni su pazienti con danni cerebrali, che quell’astrazione che chiamiamo “ragione” e che separiamo dei sentimenti, da sola, sia insufficiente per il buon funzionamento dell’intelletto. Danni a certe aree del cervello, in particolare alla corteccia prefrontale, possono lasciare il paziente apparentemente in buona salute, ma incapace di prendere decisioni complesse. Tale paziente, per esempio, può comprendere i fattori coinvolti nella conduzione della propria attività economica, ma può tuttavia elaborare decisioni che sono palesemente disastrose. Il processo decisionale così asettico e robotico descritto da molti scrittori di fantascienza, quello che caratterizza i processi mentali di super computer o di Spock della ciurma di Star Trek è in realtà tipico di individui cerebrolesi, ma non funziona nel mondo reale. In altre parole, abbiamo bisogno dei nostri pregiudizi emotivi (bias) per prendere decisioni, e per la nostra vita. Altrimenti, “non funzioniamo”.

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Relativismo e giustizia. Una recensione critica de “L’idea di giustizia” di Amartya Sen

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo: L’Idea Di Giustizia (Oscar saggi)

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Amartya Sen, filosofo e premio Nobel per l’economia (conseguito nel 1998 per i suoi studi sull’economia del benessere e per il suo impegno ad una economia etica) presenta in questo libro il suo particolare approccio alla giustizia, che potrebbe essere definito una “teoria della scelta sociale della giustizia”. Questo approccio sfida il modo stesso in cui la filosofia politica tende tradizionalmente ad affrontare il problema. Giustizia, per Sen, è una valutazione comparativa piuttosto che la costruzione di sogni idealistici. L’autore dichiara: “la domanda ‘cos’è una società giusta?’ non è un buon punto di partenza per una utile teoria della giustizia”. Il libro ha quindi un titolo piuttosto ironico, se l’approccio di Sen è ben lungi dall’esporre una “idea” di giustizia. L’obiettivo dichiarato della teoria di Sen è l’effettiva riparazione all’ in-giustizia, piuttosto che la costruzione di una teoria di ciò che la giustizia esige. Sen descrive il suo lavoro come “una teoria della giustizia in senso molto ampio“. Il libro, uno dei capisaldi dell’attuale discussione sui massimi sistemi socio-politici, è enorme, non comprende solo una teoria della scelta sociale della giustizia, ma anche la razionalità economica, il ragionamento del pubblico, i limiti dell’ oggettività etica, la democrazia, i diritti umani, le capacità dell’uomo, il benessere umano e la necessità di una giustizia globale. Questa forza è nello stesso tempo una debolezza, perché alcune sezioni non sono sufficientemente sviluppate. In particolare, la sua teoria della scelta sociale della giustizia – il suo contributo più importante – si limita ad un unico capitolo, e richiederebbe un’ ulteriore elaborazione (che, comunque, è avvenuta in altri libri del maestro indiano). Criticherò i capisaldi della sua teoria e ne mostrerò i principali punti deboli. Nonostante i limiti che mostrerò, questo libro è meravigliosamente lucido e leggibile, ed è molto accessibile ad un pubblico già abituato a simili questioni. Sen scrive amabilmente, con un tocco di storia e una prospettiva umanista veramente globale. Aneddoti di storia e di letteratura indiana forniscono illustrazioni di punti di vista accanto a quelli di Shakespeare, Dickens e altri campioni letterari. Sen crede che la missione di economisti e filosofi sia quella di migliorare il mondo, e il focus sul progetto reale di migliorare l’umanità è evidente in tutto il lavoro. Il suo approccio richiama l’attenzione sulla effettiva capacità di tutti gli esseri umani di condurre una vita appagante, e il suo umanitarismo laico è evidente in tutte le pagine.

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Cinzia Randazzo, Lettura filosofico-teologica di Giovanni nel commento di Origene. Una recensione

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Lettura ermeneutica e filosofico-teologica di Gv 1,1, nel commento di Origene al Vangelo di Giovanni

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La suddetta monografia scritta dalla dottoressa Cinzia Randazzo, cultrice in materie storico-religiose, offre al lettore un’interessante lettura ermeneutica e filosofico-teologica riguardo al Commento di Origene limitatamente al primo versetto del vangelo di Giovanni, analizzando passo dopo passo la progressione del pensiero di Origene. L’autrice tratta questo argomento con l’intento di chiarire, da un lato, i capisaldi della interpretazione origeniana  del primo versetto del vangelo di Giovanni e, dall’altro, di presentare i punti nevralgici del suo pensiero filosofico e teologico al contempo: “l’intento, quindi, di questo nostro lavoro è quello di presentare i tratti peculiari della esegesi di Origene; tratti che, come vedremo, danno adito ad una vera e propria progressione concettuale del pensiero dell’autore sulla verità del Logos. Per riuscire in questo nostro intento, ci siamo proposti di confrontarci con la filosofia medio-platonica e neoplatonica, delle quali l’autore è stato fortemente impregnato” (p.8)

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Cinzia Randazzo, Dall’archè all’eschatos. La figura di Cristo nell’A diogneto. Una recensione

Epigrafe di Irene ("pace" in greco), Catacombe di S.Callisto (Roma)

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Dall’Archè all’Eschatos. La figura di Cristo alle sorgenti dell’esistenza cristiana nell’A Diogneto

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Nella precedente e posteriore produzione letteraria dell’autrice, relativa ad alcuni documenti cristiani dei primi secoli, erano già presenti alcuni temi afferenti alla figura di Cristo. Il presente contributo si colloca nella stessa prospettiva del precedente (1) e del posteriore (2) : l’identità di Cristo e la sua funzione nel mondo a partire dall’arché fino all’eschatos. L’autrice, collaboratrice al Pontificio Ateneo Salesiano di Roma, tratta questo argomento con un duplice intento:

1) quello di chiarire la figura di Cristo in rapporto alla filosofia medio-platonica e medio-giudaica del tempo.

2) quello di mostrare la volontà dell’anonimo autore di costruire un dialogo fra Giudei  e i Cristiani da un lato, e fra i Pagani e i Cristiani dall’altro, senza escludere il messaggio attuale dell’opera che si presta ad instaurare un possibile dialogo tra Ebrei e non Ebrei.

L’autrice quindi affronta la questione cristologica nell’A Diogneto – un documento che, all’unanimità degli studiosi, risale alla seconda metà del II secolo – partendo dalle principali tappe in cui si dispiega l’economia della salvezza.

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Jurgen Habermas, Tra scienza e fede. Una recensione

La secolarizzazione dell’autorità statale e la libertà positiva e negativa dell’esercizio della religione sono due facce della stessa medaglia. Esse hanno protetto le comunità religiose non soltanto dalle conseguenze distruttive dei sanguinosi conflitti fra di loro, ma anche dallo spirito antireligioso di una società laicistica. È vero che lo Stato costituzionale può proteggere i suoi cittadini religiosi e non religiosi gli uni dagli altri soltanto quando questi non solo trovano un modus vivendi nella reciproca frequentazione, bensì vivono per convinzione in un ordinamento democratico. Lo Stato democratico si nutre di una solidarietà che non si può imporre con le leggi, fra cittadini che si considerano reciprocamente membri liberi ed eguali della loro comunità politica” (Jurgen Habermas, Tra scienza e fede)

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Tra scienza e fede (Economica Laterza)
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La traduzione del titolo in italiano di questo libro è già di per sé un’eloquente estremizzazione di un conflitto, ed una riduzione del conflitto a temi che evocano un problema ideologico più settoriale. Il titolo originale tedesco è infatti “Zwischen Naturalismus und Religion” , cioè “tra naturalismo e religione”, e si sa, un titolo simile evoca battaglie del tutto diverse (e vende molti meno libri). Guidato dalla sua ben nota tesi della “razionalità comunicativa”, il più noto filosofo tedesco contemporaneo, Jurger Habermas, in questo libro percorre un tracciato che si dipana tra lo scientismo e l’intransigenza religiosa, due correnti opposte che ritiene possano minacciare la coesione civica. Ma, come avverte nell’introduzione, i capitoli del libro sono stati scritti in occasioni diverse e non costituiscono un insieme sistematico. Habermas negli ultimi anni si è in effetti occupato di numerose tematiche contemporanee, dal multiculturalismo fino al confine tra la fede e la scienza, compresi temi legati al diritto internazionale. Il volume sarà di sicura utilità per tutti coloro che s’interessano di filosofia sociale, morale e politica così come di filosofia della religione e di filosofia della scienza, e sarà più adatto a coloro che hanno già familiarità con l’autore e hanno il desiderio di conoscere gli ultimi sviluppi del suo pensiero.

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Vittorio Sgarbi, Piene di Grazia. I volti della donna nell’arte, recensione di Erica Trabucchi

 

Giaele e Sisara, di Artemisia Gentileschi

Giaele e Sisara. Artemisia Gentileschi, che subì una violenza sessuale, realizza in quest'opera del 1620 un tema che l'accompagnerà per tutta la vita, e cioè quello di una donna energica e libera dal dominio maschile

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Piene di grazia. I volti della donna nell’arte (Saggi Bompiani)

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Vittorio Sgarbi non ha mai nascosto la sua passione per le donne. Spesso negli show televisivi si è divertito con provocazioni ed eccessive confidenze sulla sua vita, anche sessuale. Eppure, quando Sgarbi si ricorda delle sue origini, della sua vasta cultura artistica, vedono la luce opere letterarie di grande spessore. La sua ultima fatica, “Piene di grazia. I volti della donna nell’arte”, si concentra proprio sulla figura della donna nelle opere d’arte, secondo un andamento cronologico, a partire dal Medioevo sino alle opere di artisti a noi contemporanei. “Il mondo femminile nell’arte consente riflessioni, discussioni, e questo libro lo documenta, con una serie di esempi che indicano l’arte, il mistero e la seduzione che dalla donna escono”, potrebbe essere il sunto del testo, l’obiettivo che spinge l’autore nella ricerca. Perché se la storia dell’arte è una fonte immensa di opere a cui fare riferimento, una scelta ben ponderata e metodologicamente precisa come quella di Sgarbi non può essere sminuita.

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