Marcuse, L’uomo a una dimensione. Una recensione di Stefano Lechiara

Un fotogramma di Metropolis (1927), di Fritz Lang

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Antesignano di idee rivoluzionarie, “Maestro della nuova sinistra”, “apologeta del Dio Marx” ed oracolo di una società costruita ex novo sul presupposto di una liberazione totale dell’umanità, oppure marxista eretico” e visionario, nonché “irrazionalista di sinistra” e precursore di ideologia oscurantista? La vasta produzione di Herbert Marcuse, poliedrica figura di intellettuale germano-statunitense ed eminente rappresentante della Scuola di Francoforte, risulta aliena da un’interpretazione sostanzialmente condivisa in senso plurilaterale. Parimenti la sua vita, ricca di avvenimenti biobibliograficamente significativi, pare dividere gli studiosi. Essa ha suscitato la disapprovazione da parte di coloro che si presero la briga di evidenziarne la relazione (apparentemente antinomica) con la sua opera scritta (vedi la “Pravda”, organo di stampa dell’URSS) sì da giungere ad un’alacre condanna che ha il sapore di una scomunica. Nondimeno Marcuse, nell’ambito del ribellismo sessantottino che infuriava su scala globale, riscosse un successo e un’approvazione che sfiorarono la mitizzazione fanatica. In tal periodo difatti, si era quasi dappertutto gridato nei cortei e scritto sui muri: “Mao, Marx, Marcuse”. La prerogativa di Herbert Marcuse (che contraddistingue i più grandi) è quella di dividere così come inaugurare prospettive innovative e comprensibili, con ogni probabilità, in epoche piuttosto lontane. Il filosofo sembra quindi interessare non soltanto come interprete di fenomeni sociali ma, in primis, in quanto esso stesso fenomeno sociale da interpretare. Il pomo della discordia è costituito dalla sua opera più celebre “L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata” (1964), edita a Boston nel momento in cui egli era poco più che un professore settuagenario e conosciuto per lo più negli Stati Uniti (ove si era stanziato negli anni della seconda guerra mondiale a causa della persecuzione nazista imperversante nella sua Germania).

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Krishnananda, A tu per tu con la paura. Una recensione

Thomas Trobe e la compagna, Gitte Demant

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Fra Oriente e Occidente, fra psicanalisi e meditazione

A tu per tu con la paura, di Krishnananda (pseudonimo di Thomas Trobe ) è un viaggio all’interno dell’essere umano, alla scoperta delle sue paure, delle sue difficoltà , delle ferite sepolte che agiscono fattivamente sul presente con tutte le inevitabili conseguenze. Trobe, psichiatra, cresce nello studio antropologico e sociologico del genere umano, seguendo come allievo la guida spirituale di Osho. Da lui impara l’ arte della meditazione e come questa pratica debba diventare esercizio fondamentale e necessario per chiunque voglia superare la superficie per entrare nell’interiore, in quello che considera il vero essere. Questo privilegiare la pratica meditativa lo avvicina ad un noto concetto espresso dal suo maestro: “il centro della tua vita, il tuo essere, è la tua connessione con il cosmo. Da questa porta puoi entrare nel cosmo e diventare tutt’uno con l’ esistenza. Ma anche quando sei nel centro del tuo essere…troverai grande splendore e mistero. Questo stato viene chiamato il buddha, il risvegliato. In questo momento tutti voi siete dei buddha. Potete anche dimenticarlo, ma non importa. Prima o poi ve ne ricorderete di nuovo.”

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Peter Singer, Una sinistra darwiniana. Una recensione critica

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Il darwinismo è di destra o di sinistra? Piegare il darwinismo al progetto di una fondazione di valori laici è uno sogno (e in qualche caso è stato un vero incubo, si ricordi, per esempio, Herbert Spencer  o Francis Galton)  che ha una lunga storia. La sociobiologia, dal dopoguerra ad oggi,  ha percorso una lunga strada. Con l’ausilio di quella disciplina che nei paesi anglosassoni è chiamata “psicologia evolutiva”,  afferma di essere non solo un valido campo d’indagine, ma molto di più, una sintesi completa di biologia e filosofia, una guida per l’etica e la politica. Questo campo di studi, in realtà, si rivela duttile a qualsiasi credo socio-politico, capace di supportare una vasta gamma di conclusioni etiche, come vedremo, anche opposte l’una all’altra. Infatti, anche ammettendo (e la cosa è sicura) che alcuni comportamenti umani abbiano una base evolutiva, nessun “gene egoista”  (la vulgata scientifica di un credo neoliberale?) ci potrà mai dire quali comportamenti siano moralmente buoni e cattivi. Da questo punto di vista, Una sinistra darwiniana  di Peter Singer è un tentativo di piegare gli studi neodarwiniani su di un particolare programma etico e “di sinistra” (la sinistra a cui fa riferimento Peter Singer è ispirata ai modelli americani, australiani e inglesi, non certo a quelli francesi o italiani). Il suo lavoro ha il pregio di portare in Italia un dibattito per noi europei -continentali un po’ distante (e sinceramente, un po’ retrò) ma che nei paesi anglosassoni è molto più presente, e pressante, sull’onda emotiva di noti divulgatori scientifici di lingua inglese che combattono la loro “buona battaglia” contro le confessioni religiose, ma si dimenticano purtroppo i loro pregiudizi e credi sociopolitici. Per una volta, noi europei non siamo indietro: anzi, su alcune tematiche toccate da questo libro, la filosofia europea, la nostra epistemologia evoluzionistica e la nostra filosofia della scienza sono di certo più avanti, di certo alle prese con il paradigma della “complessità” più che con una pseudoscientifica “riduzione”. Il filosofo australiano Peter Singer,  noto soprattutto per i suoi ottimi contributi sull’animalismo, sull’ambientalismo e contro lo specismo, in questo libro si dedica al complesso e letteralmente inumano tentativo, fra scienza ed etica, di fondare una nuova politica, suggerendo che “la sinistra” possa e debba abbracciare il darwinismo. Questo rispettabile proposito, però, lo costringe a definire cosa sia la “sinistra”, che cosa debba essere il darwinismo, e cosa sia la natura umana. Tre questioni che cerca di “lavorare” con maestria (e in alcuni parti del libro ci riesce), anche se, come capita ad ogni buon ebanista almeno una volta nella vita, certi pezzi di legno sono troppo duri e nodosi da lavorare. Usando un eufemismo, Peter Singer sbaglia le sue frequentazioni, i suoi “materiali di costruzione”.

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Michel Foucault, Gli anormali. Una recensione critica

Dino Valls, De proportione

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975) (Universale economica. Saggi)

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Il corso universitario di Foucault raccolto in questo libro e finalmente tradotto in italiano è significativo per farsi un’idea dell’immenso lavoro di archivio e della dedizione dello studioso nella sua attività di ricerca contro-disciplinare. Anche in questo caso, come in altri suoi lavori dedicati alla follia e alla sessualità, Foucault mostra il suo talento nella decostruzione e nell’archeologia dei saperi, portando alla luce documenti storici sorprendenti e riesumando le figure storiche che li vedono come protagonisti. Ma è, oltre all’analisi, la sintesi di tali documenti, il taglio critico ad essere suggestivo,  mai definitivo,  abbastanza suggestivo da stimolare ulteriormente la ricerca genealogica in chi voglia seguire le orme dello studioso francese. In effetti, questo stimolo alla ricerca ulteriore era uno degli scopi principali di questi studi. Situate come sono tra “Sorvegliare e punire” (febbraio 1975) e “Storia della sessualità” (primo volume, ottobre 1976), queste lezioni contengono analisi più sviluppate di alcuni temi già affrontati dall’autore o che saranno meglio approfonditi nel suo futuro.  Foucault affronta questioni quali la confessione, la repressione, la medicalizzazione della famiglia, la nascita della psichiatria, e il pervertito sessuale. Inoltre, le lezioni esplorano temi e figure che sono meno centrali o assenti in altri lavori: il “mostro”, l’incesto, il cannibalismo, la stregoneria, la possessione, e la scoperta culturale dell’ “istinto” come fondamentale per l’emersione dell’ individuo anormale.  Temi che sono quasi degli abbozzi di altri suoi libri. I lettori  che sono rimasti delusi del fatto che Foucault non abbia mai realizzato i volumi promessi sulla confessione, l’isteria, la coppia maltusiana e l’onanismo, si spera vengano risarciti abbondantemente in queste pagine. Articolerò questa recensione in due parti: nella prima delineerò i punti salienti di questo libro, nella seconda mi occuperò criticamente di due personaggi che emergono nelle analisi genealogiche di Foucault: il caso del presunto maniaco sessuale Charles Jouy e la sua presunta vittima, Sophie Adams. L’analisi di questo episodio è efficace non solo nel mostrare i limiti di alcune sue analisi, ma anche nel mostrarne i pregi ed i reali obiettivi.

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John Stuart Mill, Saggio sulla libertà. Una recensione di Gabriele Ottaviani

John Stuart Mill

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John Stuart Mill, nato nel 1806, il venti di maggio, a Pentonville, un distretto di Londra (laddove nel 1902 risiederanno anche Lenin e la moglie) e morto ad Avignone sessantasette anni dopo è senza dubbio una delle voci più interessanti, chiare e autorevoli della filosofia e dell’economia del Diciannovesimo secolo, il secolo che precedette quello “breve” per eccellenza; un pensatore di levatura francamente straordinaria, che ha influenzato molte delle opinioni che sono venute a palesarsi e a formarsi negli anni, nei decenni e nei secoli successivi, portando parecchi intellettuali a schierarsi più o meno apertamente in due contrapposte fazioni, tra chi condivide, sia pur mutatis mutandis, le sue tesi, e chi invece le contesta, benché possa non di rado in effetti trovare, nell’approfondita analisi della speculazione di Mill, punti di contatto con le proprie personali convinzioni.

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Dodds, pagani e cristiani in un’epoca di angoscia. Una recensione

Apollonio di Tiana, una sorta di Cristo pagano. Le fonti (specie Filostrato) gli attribuiscono poteri, miracoli e vaticini.

Profondo conoscitore delle fonti classiche, l’autore riprende in questo testo edito originariamente nel 1965 un topos caro alla sua precedente produzione letteraria: il cosiddetto “irrazionale” si identifica fortemente col modello greco-ellenistico inteso come esperienza del mistico e dell’esoterico (1). L’autore, in quest’opera, pur essendo un fervente razionalista di larghe vedute, presenta il mondo delle paure e delle stravaganze del periodo tardo romano: si avvertono in filigrana determinati stati modificati di coscienza, di esperienze esoteriche e mistiche, nonché nuovi modi di pensare e di vivere. Nel periodo cruciale che va dall’ascesa al trono di Marco Aurelio alla conversione di Costantino, rileva i principali aspetti dell’esperienza religiosa; è periodo in cui il mondo precipita nella decadenza materiale, in cui fioriscono i nuovi e più intensi sentimenti religiosi e in cui si assiste a un mutamento di prospettiva intellettuale. È una vera e propria epoca di angoscia, perché ciò che conta per l’uomo di quel tempo non sono più i valori materiali e morali, ma l’idea di infinito e di salvezza; cristiani e pagani, secondo una nota tesi storiografica, sono impegnati a pensare più a se stessi che alla realtà esteriore: “gli uomini stavano cessando di osservare il mondo esterno e di cercare di capirlo, utilizzarlo o migliorarlo: essi erano portati a pensare a se stessi…L’idea della bellezza dei cieli e del mondo passò di moda, e fu sostituita da quella dell’infinito”. L’autore tratta questo argomento con l’intento di poter essere di interesse specialmente a chiunque non abbia ancora “una conoscenza specifica del pensiero antico o della teologia cristiana”.

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Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione. Una recensione di Kinglizard

Gilles Deleuze

“In questo libro mi  sembrava che non si potesse giungere alle potenze della differenza e della ripetizione senza mettere in questione l’immagine che ci si faceva del pensiero. Voglio dire che noi non pensiamo soltanto secondo un metodo, mentre c’è un’immagine del pensiero, più o meno implicita, tacita e presupposta, che determina i nostri scopi e i nostri mezzi quando ci sforziamo di pensare. Per esempio, presupponiamo che il pensiero abbia una natura buona, e che il pensatore abbia una buona volontà (volere “naturalmente” il vero); ci diamo come modello il riconoscimento, vale a dire il senso comune, l’uso di tutte le facoltà intorno a un oggetto che  supponiamo uguale a se stesso; designiamo il nemico da combattere: l’errore, nient’altro che l’errore; e presumiamo che il vero riguardi le soluzioni, cioè proposizioni in grado di servire da risposta. È questa l’immagine classica del pensiero, e finché non abbiamo portato la critica al cuore di questa immagine, è difficile condurre il pensiero fino a problemi che debordano il modo proposizionale, fargli effettuare degli incontri che si sottraggono ad ogni riconoscimento, fargli affrontare i suoi veri nemici, che sono ben altri che l’errore, e giungere a ciò che costringe a pensare, o che strappa il pensiero al suo torpore naturale, alla sua notoria cattiva volontà”. (Prefazione all’edizione statunitense di “Differenza e Ripetizione”)

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La spontaneità con cui pensiamo non deve far credere che siamo davvero capaci di pensare. Le regole del logos, per quanto possano apparire rigorose, ancora non ci illuminano su cosa il Pensiero sia, ancora non ci indicano il suo modo di procedere. Pensare, anzi, è un’operazione estrema, che sfinisce e disorienta chi lo pratica, in un gioco che sancisce inesorabilmente la dissoluzione del soggetto-pensatore per far vincere, ritornare, ripetere la sola “cosa” che davvero sa giocare, il Pensiero stesso, incarnazione e specchio di un’Idea sempre differita e mai piegata ai principi della rappresentazione concettuale. Questo l’insegnamento di Differenza e Ripetizione; questa la sfida di Deleuze. Tracciando una linea di critica radicale che percorre trasversalmente tutta la storia della filosofia, il testo di Deleuze è il perfetto esempio dell’opera teoretica, la cui intenzione prima è quella di mettere alla prova il fondamento su cui il pensiero filosofico ha voluto costruire di volta in volta i suoi mondi. Fondamento che però, seguendo le argomentazioni di Deleuze, appare immotivato, dogmatico, irriflesso; fondamento che perciò non tiene, anzi sprofonda in un senza-fondo sul quale qualsiasi opera di fondazione che vuole seguire i principi della ragione sufficiente risulta impossibile.

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Margherita Isnardi Parente, Le radici greche di una filosofia non antropocentrica

Aristotele studia gli animali (1791)

Ospitiamo sul nostro sito il noto piccolo saggio della studiosa dedicato ai prodromi della coscienza animalista e dell’ambientalismo moderno rintracciati nella filosofia antica occidentale. Come Galilei mise in  discussione il geocentrismo,  alcune filosofie greche misero in discussione l’antropocentrismo, che dominò la cultura occidentale anche e soprattutto sulle basi del pensiero ebraico e cristiano che si riappropriarono di alcuni schemi della filosofia greca, censurandone altri. La studiosa sfata un pregiudizio storico culturale: la credenza che la cultura cristiana debba al suo contatto con la grecità il suo antropocentrismo e il suo scarso spirito ecologico.  Al contrario: la studiosa dimostra come la tradizione pitagorico-platonica-aristotelica, in un lungo percorso articolato fra pratiche etiche, qualche deriva spiritualistico-metafisica, e considerazioni  più propriamente razionaliste, raggiunse una coscienza critica altissima sul carattere problematico che riveste il rapporto fra i viventi, che servirà da base per la speculazione moderna e contemporanea.

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Momigliano, Saggezza straniera. L’ellenismo e le altre culture. Una recensione

L'impero di Alessandro il Macedone nella sua massima espansione geografica

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Nella precedente produzione letteraria dell’autore relativa alla storiografia delle culture, erano già presenti alcuni temi afferenti all’ellenismo. Momigliano tratta questo argomento con l’intento di chiarire il rapporto tra l’ellenismo e le altre culture antiche: la questione di capitale importanza, e così poco affrontata da altri storiografi, di come la Grecia e la sua espansione culturale (non disgiunta da quella politico-militare) fosse recepita dalle altre culture dell’area mediterranea; ma anche il problema contrario: come la Grecia recepisse le altre. Una storia di fraintendimenti, idealizzazioni, osmosi reciproche, contrasti e fascinazioni, tipiche di quella prima grande “globalizzazione” europeo-asiatica che fu l’ellenismo. Il tutto, risalendo a un arco di tempo ben preciso: dal quarto secolo a.C. fino al I a.C. L’immagine di un ellenismo omogeneo fornito da Droysen (il creatore del termine “ellenismo”), come insegna bene Momigliano, è tutta da smitizzare. L’autore ne spiega, con metodo, le dinamiche complesse, mostrando l’intelaiatura fra filosofia, cultura ed eventi socio-politici fra dominanti e dominati. Nella breve prefazione l’autore motiva lo scopo della presente ricerca; scopo che “era quello di stimolare la discussione su di un importante argomento senza indulgere in congetture”. Questo lavoro risponde quindi all’intenzione dell’autore di cogliere, da un lato, l’atteggiamento dei greci nel loro impatto con quattro particolari civiltà (i Celti, gli Ebrei, i Romani, gli Iranici) proprio nel periodo della loro decadenza politica, e, dall’altro, le conseguenti acquisizioni culturali che si generarono in questi tre secoli sotto la spinta della potenza romana, che ereditò la “sapienza greca” dopo averla inizialmente combattuta.

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Il cervello della cappella Sistina. Michelangelo fra neoplatonismo e… neuroanatomia

Fece per la chiesa di Santo Spirito della città di Firenze un Crocifisso di legno, che si pose ed è sopra il mezzo tondo dello altare maggiore a compiacenza del priore, il quale gli diede comodità di stanze; dove molte volte scorticando corpi morti, per istudiare le cose di notomia, cominciò a dare perfezione al gran disegno ch’egli ebbe poi“. (Giorgio Vasari, Vita di Michelangelo)

Forse il primo uomo (documentabile) ad avanzare l’ipotesi dell’anatomia del cervello celata nel dipinto di Michelangelo è stato qualche anno fa un medico americano,  Frank Meshberger, notando che le figure dietro Dio e il mantello formano una figura pienamente corrispondente alla sezione sagittale della corteccia cerebrale. E Michelangelo, nel Rinascimento, non era l’unico a studiare l’anatomia dai cadaveri ed a riportarla fedelmente nelle sue opere. Inoltre, al tempo di Michelangelo, gli anatomisti credevano che il prezioso ben dell’intelletto, dono di Dio, avesse la sua sede nel cervello. In base a questa ipotesi, nell’affresco tradizionalmente chiamato “Creazione di Adamo” (qui il link per vedere la Cappella Sistina in 3d), potrebbe essere simboleggiato un messaggio molto particolare.

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Eros e civiltà, di Herbert Marcuse. Una recensione di Gabriele Ottaviani

Herbert Marcuse durante un'assemblea studentesca (1968)

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Herbert Marcuse (Berlino, 19 luglio 1898 – Starnberg, Baviera, 29 luglio 1979), è il principale interprete e ispiratore – almeno per la quasi totalità dei critici – di quella corrente filosofica e di pensiero nella quale si sono poi riconosciuti i fautori dei fermenti del movimento studentesco. Questo movimento portò con veemenza alla ribalta mondiale, tramite partecipate manifestazioni, scritti e azioni varie, le proprie istanze, talvolta finanche tradite, a partire dal 1968, anno diventato poi la data simbolo di un nuovo modo di intendere e considerare la società, quella già esistente e quella da costruire e ricostituire, e di un nuovo modo di considerare ed edificare il ruolo dell’Uomo all’interno del contesto in cui conduce la propria esistenza. Marcuse è l’autore di numerosi scritti e saggi: uno dei più celebri è con tutta probabilità “Eros e civiltà” (“con questo titolo”, scrive il filosofo nella prefazione al suo scritto, edita nel 1967, “intendevo esprimere un’idea ottimistica, eufemistica, anzi concreta, la convinzione che i risultati raggiunti dalle società industriali avanzate potessero consentire all’uomo di capovolgere il senso di marcia dell’evoluzione storica, di spezzare il nesso fatale tra produttività e distruzione, libertà” – termine che Marcuse sovente esita a usare, “perché è proprio in nome della libertà che vengono perpetrati crimini contro l’umanità”, –  “e repressione”), un volume complesso e strutturato in più parti, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti d’America nel 1955, e divenuto un testo basilare di quella che fu chiamata, non senza una certa sufficienza da parte di alcuni, “controcultura giovanile”.

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