John Rawls, Una teoria della giustizia. Una recensione (di Michela Rossi)

Le diseguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: devono essere legate a funzioni ed a posizioni aperte a tutti, in condizioni di parità equa delle opportunità; devono procurare il più grande vantaggio ai membri più svantaggiati della società”. (John Rawls, Il principio di differenza, par. 46 di “Una teoria della giustizia”, 1971)

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Contro l’utilitarismo classico di Bentham, Mill e seguaci postmoderni, John Rawls propone una nuova soluzione per coniugare giustizia sociale e liberalismo in una nuova, celebre, teoria della giustizia. Teorico del contratto, lo studioso è considerato oggi nel mondo come il massimo esperto della “terza via” tra liberismo e socialismo, e il suo libro è ormai un classico della filosofia politica. Rawls rilegge Aristotele e i classici della filosofia politica inglese (Locke, Hume, Hobbes). Il suo contrattualismo è in parte ispirato a Rousseau, ma senza una teoria dello stato di natura. La sua concezione della morale affonda le sue radici in Kant. Il libro, pubblicato nel 1971, genererò molte critiche ed un dibattito vastissimo: dagli ultra-liberali era ritenuto troppo di sinistra, e dai socialisti troppo di destra. Dal 1971 al 2002, anno della sua morte, Rawls ha pubblicato molti articoli e altri libri per spiegare, ampliare e difendere la sua teoria, diventata nel frattempo un pilastro delle teorizzazioni sociopolitiche del Ventesimo secolo.

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L’eroe dai mille volti e l’eroe “pop”. Una recensione del libro di Joseph Campbell

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Sto leggendo da qualche giorno La morfologia della fiaba di Propp, studio “vecchio” ma che sorprende per la sua analiticità e modernità, nonché per il rigoroso metodo scientifico applicato, per quanto possibile, a dei testi raccolti dal folklore del mondo intero. Il libro non può che ricordare (inaspettatamente, anche per alcune conclusioni) un altro capolavoro della mitologia comparata, e cioè L’eroe dai mille voltidi Joseph Campbell, studio che divenne la Bibbia di sceneggiatori del cinema come George Lucas.

Cosa hanno in comune, dal punto di vista morfologico, le storie su Gilgamesh, Edipo, Teseo, Budda, Bastiano (il protagonista de La storia infinita, di Michael Ende),  Gesù Cristo, Neo (l’eroe di Matrix), Pinocchio, Ulisse, Luke Skywalker (l’eroe di Guerre stellari), Frodo Beggins (l’eroe del Signore degli anelli), le storie dei giochi di ruolo o quelle di altri miti famosi delle culture umane? Cosa hanno in comune, per esempio, con la vita di Peter Parker o di tanti altri supereroi dei fumetti?  Non si tratta qui di cercare derivazioni, analisi genetiche, ma di “semplici” analisi formali, come quelle che fa Mircea Eliade nel Trattato di Storia delle religioni. Si tratta anche, in latere, di determinare come funziona la mente umana, la cultura, quali sono le meta-forme da cui viene attratta, quelle che conserva più facilmente e che “crea”, investe di “sacralità” antistorica più facilmente.

 

Campbell riassume e semplifica le cose in alcuni punti: l’eroe, il protagonista dei miti (oggi come ieri) affronta quattro fasi principali: 1) fase dell’innocenza, della vita ordinaria o dell’infanzia  2) separazione 3) iniziazione 4) ritorno. Ognuna di queste fasi ha al suo interno diverse varianti e componenti. Ad esempio, nella fase 1 spesso avviene che, all’inizio, l’eroe “rifuita” la chiamata ad una nuova vita, rifuta la separazione. Afflitto da tentennamenti, l’eroe supera una figura che Campbell definisce il Guardiano di Soglia, che offre all’eroe un quadro di quello che gli aspetterà e gli fa da guida.  La fase 3 infatti spesso si compone  dell’incontro dell’eroe con un mentore, un vecchio saggio, con degli aiutanti.  L’iniziazione è la fase “dolorosa”, con spesso la morte dell’eroe, la prova (l’eroe è divorato dal mostro, l’eroe combatte il mostro, l’eroe è smembrato, l’eroe patisce), con un immancabile oracolo che preannuncia tutto ciò, o con l’incontro con una Dea o con la donna perfetta di cui si innamora. Il ritorno, dopo l’apoteosi dell’eroe e la riconciliazione con il padre, è caratterizzato da una nuova forma di vita, quasi divinizzata, sacra, piena e ricca, responsabile, libera.

Qualche esempio. Siddharta è un principe ricco e potente, protetto dalle premure del re padre. Un vecchio preannuncia, alla madra Maya, appena nato, il suo futuro glorioso. Siddharta vive all’interno di una città protetta da mura, in cui egli non conosce povertà, la vecchiaia né la sofferenza. Ma un giorno decide di scoprire cosa sia la sofferenza, la vecchiaia, la morte, e abbandona il nido paterno. L’ “iniziazione” lo farà maturare,  gli permetterà di vincera Maya, l’illusione-ignoranza, e Kama, il “mostro” con le sue tre pericolose figlie: dopo anni di ascesi, Budda scopre la “via di mezzo” e redime (in un senso non cristiano) il mondo, raggiunge l’illuminazione sotto l’albero Pipal. L’apoteosi gli permetterà di essere l’Illuminato, il Signore del mondo. La vita di Gesù Cristo morfologicamente è molto simie a quella di Budda, con l’aggiunta del del golgota (la “morte” per eccellenza) e della riconciliazione con il padre, il padre che ESIGEVA un sacrificio.

 

Il paragone però si assume meglio con un mito pop cinematografico, e cioè Guerre Stellari. Luke vive una vita ordinaria, con gli zii, unumile contadino. Poi la chiamata al superamento della soglia: entra in scena C1 con il  suo videomessaggio. Il guardiano di Soglia è il vecchio jedi Kenobi, che pian piano guiderà inizialmente  il giovane sulle vie della forza, verso il suo destino, e cioè sconfiggere il mostro, l’impero, e il vero mostro freudiano, Darth Fener, il “padre”, con cui si riconcilierà.. In questo lungo, doloroso viaggio (vi è perfino la “caverna” nella quale Yoda, vero mentore di Luke, lo inizierà alla forza), vi si affiancano dei compagni di viaggio, come Leila (che svolge anche il ruolo di eroina e donna amata), Yan Solo e Chubecca.

 

A livello di una analisi sulla morfologia “genetica”, nella lontana base genetica di questi miti (d’oggi come di ieri) per Propp come per Campbell ci sarebbe il monomito rituale originario, e cioè l’ancestrale e onnipresente rito di iniziazione dei popoli “primitivi”: al sorgere della pubertà l’iniziato veniva lasciato nella “foresta”, dove avviene lo “smembramento” rituale da parte del “mostro” o degli officianti del rito di passaggio, come prova del passaggio dalla adolescenza a maturità. Il rito, che deve essere “doloroso” e angoscioso,  permette il ritorno dell’uomo al suo villaggio. Campbell però si spinge, anche diversamente da Levi-Strauss, sul considerare le strutture mentali alla base di tali costruzioni, ed avvicinandosi alle teorie di Jung sul considerare simili strutture mitopoietiche come “innate”.

Ma eroe pop è anche la Nazionale Italiana nel 2006, celebrata e deificata per le strade di Roma (dalla morte di calciopoli alla resurrezione della finale di Berlino) così come Silvio Berlusconi, che combatte il ”mostro” (Tartaglia, i comunisti, i traditori finiani, la stampa, i magistrati), che muore e risorge, che finalmente “scende in campo” dopo una vita “ordinaria” e “privata”, non al servizio dei cittadini. Berlusconi perseguitato, ma che continua a seguire il suo destino. Berlusconi che si è fatto dasolo, che con le sue forze, partendo da perfetto sconosciuto, dalla banalità e quotidinaità, è diventato l’uomo più potente d’Italia. Berlusconi e  i suoi profeti, i suoi fedeli oracoli, Baget Bozzo e Don Verzè. Studiare mitologia comparata però fa capire che non è l’eroe che fa interpetare questi eventi come ”mitologici”, ma sono questi eventi, massificati e ideolocizzati, direi “messi in archetipo”, a creare l’eroe. Creare dei prefissi, dei sur-, equivale a nient’altro che creare una metastoria ideale e modellarla su strutture ben note, strutture che la narrativa sfrutta dal giorno in cui l’uomo ha creato il primo mito intorno al primo fuoco.