Cos’hanno incomune il filosofo indiano Shankara e il filosofo occidentale Agostino?
Un occidente che contrappone tempo ed eternità, un oriente che li identifica. L’apparente esistenza sostanziale del tempo è un errore di prospettiva della filosofia e teologia occidentale. In realtà, sembra dire Coomarasmamy, tutto è divenire, il tempo è solo una illusione prospettica. Tempo come mera unità di misura del divenire. Ecco alcune righe di Ananda Kentish Coomaraswamy, in Tempo ed eternità, Luni editrice, 2003, pp. 14-15, un libro di cui fornire una recensione esaustiva appare davvero difficile.
Esamineremo la dottrina del Tempo e dell’Eternita nei contesti vedico, buddhista, greco, cristiano e islamico. Entrambi i termini sono ambigui. Il Tempo è sia la totalità, o una parte, del continuum della durata passata e futura, sia questo punto presente del tempo (nunc fluens) che distingue fra loro le due durate. L’Eternità è sia, dal nostro punto di vista temporale, una durata senza inizio né fine sia, in se stessa, quel punto inesteso del tempo che è Ora (nunc stans). Dal punto di vista che si puo chiamare esteriore o letteralista, si concepisce che il tempo, nel primo senso, abbia avuto un inizio e proceda verso una fine; esso viene pertanto contrapposto all’eternità considerata come una durata perpetua senza inizio né fine.
L’assurdità di queste posizioni diventa manifesta se ci domandiamo con S. Agostino: “Che cosa faceva Dio (l’Eterno) prima di creare il mondo”; la risposta è, naturalmente, che essendo il tempo e il mondo interdipendenti — o, in termini di “creazione”, concreati — la parola “prima” non ha alcun senso in una tale questione. E’ per questo che l’esegesi cristiana afferma abitualmente che “en archè” in principio, non implica un “inizio nel tempo” bensì un’origine nel Principio Primo; ne consegue logicamente che Dio (l’Eterno) crea il mondo ora e sempre. La dottrina metafisica contrappone semplicemente il tempo in quanto continuum all’eternità, che non è nel tempo e che non può essere propriamente chiamata durata perpetua, poiché essa coincide con il presente reale, l’istante, di cui non si può avere esperienza nel tempo. Qui la confusione sorge solo per una coscienza che riflette in funzione del tempo e dello spazio, poiché, per essa, un “istante” succede a un altro “istante” senza interruzione e sembra che vi sia una serie indefinita d’istanti, collettivamente assommati nel tempo. Questa confusione può essere dissipata se ci rendiamo conto che nessuno di questi istanti ha durata e che, quanto alla misura, essi sono tutti degli zero la cui somma è impensabile. E’ una questione di relatività: siamo noi ad essere in movimento, mentre l’ora è immutabile anche se sembra spostarsi – proprio come il sole sembra levarsi e tramontare a causa della rotazione della terra.