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“I FRUTTI PURI IMPAZZISCONO”. LETTERALMENTE
(nella foto, Gianluca Cassieri, l’autore della strage di Firenze)
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Ho sempre creduto che il titolo del libro più famoso dell’antropologo James Clifford fosse una metafora, una poesia: “I frutti puri impazziscono”. Un titolo che è già una recensione. Ed in effetti, il titolo fa un verso ad una poesia di Carlos Williams. Ma la strage dei due Senegalesi a Firenze, Samb Modou e Diop Mor, ad opera di Gianluca Cassieri, è uno dei tanti esempi che dimostrano che l’ideologia della purezza fa letteralmente esplodere i più pericolosi istinti umani, al di fuori di ogni metafora. La purezza, in tutte le sue manifestazioni. Piuttosto che metterci a discutere se Cassieri fosse un pazzo o no, siamo comunque convinti che l’ideologia della purezza propagandata dai gruppi di estrema destra come Casapound renda psicolabili. Per cominciare a decostruire questo pericoloso mito, niente di meglio che un brano dell’antropologo Ralph Linton: “L’Americano al cento per cento”.
Non ci sono dubbi sull’americanismo dell’americano medio né sul suo desiderio di conservare ad ogni costo questa preziosa eredità. Tuttavia alcune insidiose idee straniere si sono già insinuate nella sua cultura senza che egli si sia reso conto di quello che stava accadendo. Ecco dunque il nostro insospettabile patriota che indossa il pigiama. Un indumento che ha origine nell’India orientale, e dorme sdraiato su un letto costruito secondo un modello originario persiano o dell’Asia Minore. È coperto fino alle orecchie di stoffe non americane: cotone coltivato per la prima volta in India, lino coltivato in Medio Oriente, lana prodotta da un animale originario dell’Asia Minore, oppure seta, che i cinesi hanno inventato e usato per primi. Tutti questi materiali si sono trasformati in tessuti grazie a un procedimento inventato nell’Asia sud-occidentale. Se fa piuttosto freddo può: dormire sotto un piumone a trapunta inventato in Scandinavia.
Svegliandosi dà un’occhiata alla sveglia, un’invenzione medievale europea, usa una forte parola latina in forma abbreviata, si alza in fretta e si dirige verso il bagno. Qui, se riflette un momento non può non sentire la presenza di una grande istituzione americana; ne ha sentite di storie sulla qualità e sulla diffusione dei servizi igienici nei paesi stranieri e sa che in nessuno di essi l’uomo medio effettua le sue abluzioni in mezzo a tanto splendore. Ma anche qui trova tracce dell’irritante influenza straniera. Il vetro fu inventato dagli antichi Egizi, le piastrelle vetrificate del pavimento e delle pareti nel Medio Oriente, la porcellana in Cina e l’arte di smaltare i metalli dagli artigiani mediterranei dell’età del bronzo. Anche le tubature e la tazza del cesso sono copie appena modificate rispetto agli originali romani. L’unico contributo americano a tutto il complesso è il radiatore. In questa stanza da bagno l’americano si lava con il sapone inventato dai Galli. Poi si lava i denti, una rivoluzionaria pratica europea che non si propagò in America fino agli ultimi anni del diciottesimo secolo. Quindi si fa la barba, rito masochistico la cui origine risaie ai preti dell’antico Egitto e ai sumeri. Il procedimento è reso meno penoso dal fatto che usa un rasoio di acciaio, una lega di ferro e carbonio inventata in India o in Turkestan. Infine si asciuga con un asciugamano turco.
Ritornando nella camera da letto, l’inconsapevole vittima di oscure pratiche straniere prende gli abiti dalla sedia, il cui modello è stato elaborato nel Medio Oriente, e inizia a vestirsi. Si mette un abito attillato le cui forme derivano dalle vesti di pelle degli antichi nomadi delle steppe asiatiche e lo allaccia con dei bottoni i cui prototipi comparvero in Europa alla fine dell’età della pietra. Questo vestito è abbastanza adatto per stare all’aperto in un clima freddo, ma non si addice certamente alle estati americane, né alle case con riscaldamento centrale o alle carrozze ferroviarie. Tuttavia idee e abitudini straniere hanno asservito il poveretto, anche se il buon senso gli dice che il vero abito americano di strisce di pelle e i mocassini sarebbero molto più comodi. Si infila ai piedi delle calzature rigide di cuoio confezionate secondo un procedimento inventato nell’antico Egitto e tagliate secondo un modello che risale agli antichi Greci e si assicura che siano accuratamente lucidate, anche questa un’idea greca. Infine si passa attorno al collo una striscia di stoffa dai colori vivaci, che è un vestigio sopravvissuto dello scialle che indossavano i Croati del diciassettesimo secolo. Si dà un’ultima occhiata allo specchio, vecchia invenzione mediterranea, e scende le scale… .
Si mette in testa un cappello di feltro, materiale inventato dai nomadi dell’Asia orientale e, se sta per piovere, si mette le soprascarpe di gomma, inventate dagli antichi messicani, e prende l’ombrello, inventato in India. Scatta via per prendere il treno, che è un’invenzione inglese (il treno, naturalmente, non lo scatto). Alla stazione si ferma un istante per comprare il giornale e lo paga con delle monete inventate nell’antica Lidia. Una volta in carrozza, si sistema sul retro per fumare una sigaretta, invenzione messicana, o un sigaro, invenzione brasiliana. Intanto legge le notizie del giorno, stampate con caratteri che derivano dagli antichi Semiti, stampati mediante un procedimento inventato in Germania su materiale inventato in Cina. E, mentre legge l’ultimo editoriale che parla dei disastrosi risultati che l’accettazione delle idee straniere produce sulle nostre istituzioni, non potrà fare a meno di ringraziare un Dio ebreo in una lingua indoeuropea di essere al cento per cento (sistema decimale inventato dai greci) americano (da Amerigo Vespucci, navigatore e geografo italiano).
(Ralph Linton, <<The American Mercury>>, 40 [aprile 1937], pp.427-429)
Su questo tema, vedi anche il nostro intervento: LA FILOSOFIA DEL FANATISMO
Filosofia, libertà e… il mare!
C’era una volta, tanto ma tanto tempo fa, su un’isola lontana lontana, un anziano pescatore. Viveva in una capanna vicino alla spiaggia del mare, mare dal quale, con la sua canna da pesca, la sua barchetta di tronco e la sua rete, riusciva a procurarsi il cibo per vivere. Era sempre calmo e sereno, limpido come il mare che lambiva l’isola. Amava stare ore e ore sdraiato all’ombra di una palma, su di una piccola altura che dominava la spiaggia ed il mare. Rimaneva sdraiato ore ed ore a riposare, a pensare ed a sognare.
Un giorno arrivò all’isola un ricco signore con una gigantesca nave da carico. Il ricco signore sbarcò sull’isola per recarsi al paesino, poco lontano dalla spiaggia del pescatore, per svolgere i suoi affari. Dopo aver concluso i suoi affari, si incamminò per tornare alla nave passando dall’altura dove il pescatore riposava. L’uomo ricco fu sorpreso dal notare questo vecchio pescatore che dormiva con il sorriso sulle labbra. Si avvicinò incuriosito al vegliardo e gli si sdraiò vicino, all’ombra dell’accogliente palma.
– Sto perdendo tempo. – pensò tra sé con ansia, – devo tornare al lavoro. – Ma lì era tutto così bello! Il cielo ed il mare non erano mai stati così vivi: sembravano due innamorati al primo appuntamento, che si scrutano, silenziosi ed imbarazzati, prima di baciarsi. Il pescatore, destatosi nel frattempo, si accorse del nuovo venuto: – E tu chi sei buon uomo?
Rispose il ricco: – Sono un commerciante di seta e di ferrame. Vedi quella grossa nave giù nella baia? È mia. Sopra vi lavorano cinquanta dipendenti, tutti miei stipendiati. Sono passato dal paesino qui vicino, ma nessuno sembra interessato alla mia merce. Pazienza. Le mie molte industrie in continente, producono più merce di quella che riesca a vendere. Dovrò aprire perciò nuovi mercati. E tu, o canuto vegliardo, chi sei?
– Io sono soltanto un povero pescatore.
– E che ci fai qui, sdraiato tutto il giorno?
– Riposo – rispose il vecchio.
– Attento, pescatore. Chi dorme non piglia pesci. – ammonì il ricco signore. – E allora? – esclamò il vecchio. Poi continuò: – Io lavoro per vivere, non vivo per lavorare. Poi, quando voglio, mi sdraio qui e mi riposo, guardo l’alba ed il tramonto, il cielo ed il mare. Penso e sogno. E tu, buon uomo, perché lavori tutto il giorno?
– Che domande! – rispose prontamente il ricco signore, – Lavoro tutto il giorno affinché un giorno, io possa permettermi di… riposare… -. Il volto del ricco signore cambiò improvvisamente. Il vecchio pescatore sorrise amabilmente: – Anche tu, come vedi, vuoi semplicemente riposare -.
A queste parole, il ricco signore rinunciò al proposito di partire: rimase sdraiato accanto al pescatore, ed insieme, continuarono a scrutare il cielo ed il mare fino al tramonto, e oltre. Chi, questa estate, passerà da quell’isola lontana, potrà ancora scorgere, arenata e logora nella vecchia baia, una grande nave carica di seta e ferrame. Sull’altura, invece, troverà il ricco signore ed il pescatore a riposare, ed a rimirare il cielo ed il mare.
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Vedi anche il sito LIBERARCHIA per un’altra avventura del pensiero
Il pericolo dell’economia cinese, maggio 1901
“Così si presenta pure quale gravissima minaccia, quale pericolo terribile, la Cina che per molto tempo fu considerata, nel mondo politico ed economico, come una quantità trascurabile, quasi come un elemento comico sinché, l’anno scorso, gli avvenimenti dimostratono la serietà del pericolo che il vasto impero centrale presentava per l’Europa. Secondo l’autore dell’articolo, non è il pericolo militare quello che si deve temere dalla Cina, sibbene il pericolo economico, precisamente come la malattia deve impensierire più dell’assassinio. Ciò che deve far pensare non è il timore di una aggressione a mano armata da parte della Cina, ma la condizione in cui si troverà l’Europa quando, oltre la lotta militare e la lotta per vecchia questioni continentali, aggravate dalle questioni coloniali, dovrà affrontare la lotta economica, con forze sparse o male organizzate, contro concorrenti sempre più numerosi, freschi, meglio forniti di macchinari, meglio organizzati. Si adatterà l’operaio americano, l’operaio europeo ad una diminuizione di salario, affinché l’industria di queste due parti possa competere coi Cinesi invadenti già ogni campo di produzione, dallo zucchero agli zolfanelli? Europei ed americani dovranno ogni giorno più faticare e stentare per guadagnare sempre meno. Tale secondo il D’Estournelles è la formula alla quale non si potrà sfuggire.”
Tratto da “Il pericolo giallo“, articolo pubblicato in <<La lettura>>, rivista mensile del Corriere della sera, maggio 1901
“Oltre la filosofia”, di Giangiorgio Pasqualotto. Una recensione sui percorsi di saggezza fra Oriente ed Occidente
(nell’immagine, il film “Primavera, estate, autunno,inverno… e ancora primavera“, di Kim Ki-duk)
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La filosofia non parla più della vita. Nella storia della cultura occidentale è avvenuta una frattura (non certo recente) fra vita e pensiero. Ma anche fra filosofia speculativa e pratica. Il libro di Giangiorgio Pasqualotto cerca di rimediare a questo discrimine svolgendo un iter articolato in otto interventi, un viaggio tra occidente ed oriente alla ricerca della saggezza del vivere. Del resto, lo studioso è uno dei massimi esperti italiani di pensiero filosofico orientale e più volte ha affrontato la tematica di un Oriente che avrebbe tanto da raccontare al nostro Occidente, un Occidente grecista ed eurocentrico che crede di aver inventato il pensiero, oltre che la filosofia. Lo studioso segue un cammino intrapreso già da Pierre Hadot (Esercizi spirituali e filosofia antica), Foucault (L’uso dei piaceri, La cura di sé), in parte dalla Nussbaum (Terapia del Desiderio) e da Panikkar: paragona perciò particolari pensieri filosofici orientali e occidentali interpretabili come “stili di vita”, il cui scopo non risiede nella mera acquisizione di dati sulla struttura della realtà, quanto piuttosto nell’annullamento del dolore, nel riconoscimento e nel controllo delle passioni, nella pratica della libertà e del “conosci te stesso” – un “te stesso” che però non è separato da tutto il resto.
Il riduzionismo razionalistico in economia. Recensione a “Etica ed economia” di Amartya Sen
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Riducendo tutte le diverse virtù a quest’unica specie di proprietà, Epicuro si abbandonava ad una tendenza che è naturale in tutti gli uomini, ma che specialmente i filosofi tendono a coltivare con particolare godimento, quale grande mezzo per mostrare la propria abilità, la tendenza cioè a far risalire tutti i fenomeni al minor numero possibile di principi.
(Adam Smith, 1790, trad. di S. Maddaloni)
Smontare i dogmi della razionalità economica moderna è l’obiettivo di questo opuscolo di Amrtya Sen, originariamente partorito in seguito ad un ciclo di conferenze tenute nel 1986 a Berkeley. In particolare, la razionalità intesa come “massimizzazione dell’interesse personale”. Nel saggio, il premio nobel all’economia dimostra che è avvenuto un distacco netto fra etica ed economia, e mostra il danno che l’ipotesi di un comportamento mosso dall’interesse personale ha recato a questa “pseudo-scienza”.
La chiave della vita: l’errore. Monod, il caso e la necessità. Una recensione
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“Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto di caso e necessità” (Democrito). Considerate una semplice operazione sul vostro pc: copia-incolla di un programma, o quando masterizzate un cd. Il risultato finale, nonostante le apparenze, non è mai esattamente uguale all’originale. Avvengono degli errori di copiatura del codice binario del programma. Più il progetto che copiate è lungo e complesso, più c’è possibilità che questi errori siano più consistenti. Ebbene, la stessa cosa avviene nel mondo biologico. Il DNA non replica mai se stesso in maniera perfetta. Pensare che la chiave della vita e dell’evoluzione neodarwiniana siano gli errori di replicazione è uno degli spunti più sconvolgenti che vengono dalla lettura de “Il caso e la necessità” di Jacques Monod. In generale, nel mondo che non sia quantistico, si può dire che nulla è uguale ad un’altra cosa. Nella biologia, i contorni di questa “legge” sono netti. Qui non esiste invarianza perfetta, ma solo di principio: dagli organismi più elementari come i virus o i protobatteri fino ai mammiferi, sono le mutazioni “vincenti” la chiave della vita. Se la prima unità vivente del nostro pianeta si fosse riprodotta uguale a se stessa, non ci sarebbe potuto essere l’uomo.
Buone ferie!
Anche quest’agosto con lo zaino in spalla! Vi auguro buone ferie con una poesia di Dino Campana:
La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta
e uguale in un silenzio profondo. Solo a tratti
nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre
improvvise correnti per la prateria e ancora
una chiarità immensa e strana nel gran
silenzio. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili,
sulla terra infinitamente deserta e misteriosa,
dalla sua tenda l’uomo libero tendeva
le braccia al cielo infinito non deturpato
dall’ombra di Nessun Dio.
(Dino Campana, Pampa, Canti Orfici)
Filosofia del fanatismo. Amos Oz, la coerenza, la follia, la strage di Utoya
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Si chiama Anders Behring Breivik, ha 32 anni, ed è l’autore del massacro della Norvegia. Non è un ceceno, un palestinese, un kamikaze, un seguace di Maometto. E’ alto e biondo, si professa conservatore e cristiano. Soprattutto: non è un pazzo. E’ certo ossessionato dall’idea che l’Islam conquisti la debole e inetta vecchia Europa con le sue patetiche e arrendevoli forme di multiculturalismo e di “politicamente-corretto”. Ma non è un pazzo. Ho anche visionato il suo video-manifesto su youtube. Niente di diverso da altri manifesti al confine fra la sindrome di accerchiamento e di complotto, l’antimarxismo e l’antislamismo di estrema destra (antislamismo che tende spesso a diventare antisemitismo). Ma Andres ha fatto un evidente salto di qualità nel superamento dell’idea nella realtà. Da un punto di vista formale, è un Magdi Allam “estremista”, che ha perso il contatto con la realtà ma che è diventato estremamente coerente con il “principio”: il principio primo è che i laburisti norvegesi, la sinistra o che altro stanno rendendo la Norvegia e l’Europa un territorio di conquista delle orde islamiche. Il secondo, è che la politica partica è un mezzo vecchio e inutile: per svegliare le masse norvegesi dai loro buonismi occorre il terrore. Per qualcuno, per qualche gruppo fanatico dell’estrema destra nordica (e non solo), Anders potrebbe presto diventare un eroe. Nel suo diario, all’idea del massacro, programmato in due interi anni, scrive: “Fallimenti logistici: devo ripensare la questione del silenziatore, l’importatore che avevo contattato ha cancellato tutti gli ordini privati. Non vorrei surriscaldare l’arma, forse devo pensare ad una baionetta. ‘Marxisti infilzati’ diventerebbe un marchio”.
Les maitres fous (documentario). Le nuove religioni in contesto coloniale e neocoloniale
Come direbbe Michel Leiris: “Due culture sembrano fondersi in un affascinante, ambiguo abbraccio, soltanto perchè l’una possa infliggere all’altra una più evidente negazione” (Frele bruit). “I maestri folli” (Les maitres fous) è un documentario girato in Ghana nel 1955 dal regista francese Jean Rouch, qui sottotitolato dal nostro sito “filosofiprecari”. Mostra le pratiche rituali di una setta religiosa nata negli anni del dominio coloniale. Nell’appezzamento del loro gran sacerdote, dopo una confessione pubblica dei peccati, gli adepti iniziano il rito della possessione. Convulsioni, tremiti, respiro affannoso: comincia l’imitazione della struttura sociale dei bianchi. Stati di parossismo psicologico che ricordano rituali endorcistici ed esorcistici di molte religioni e culture del mondo… sono i segni dell’arrivo degli “spiriti della forza”, spiriti che hanno i nomi dei dominatori bianchi: il “caporale di guardia”, il “governatore”, il “dottore”, il “conducente di locomotiva”… Il culmine della cerimonia si ha con il sacrificio di un cane che sarà poi mangiato dai “posseduti”. Il giorno dopo, gli iniziati tornano alle loro occupazioni quotidiane.
Cos’è un dogma? La riflessione di Hans Jonas (di Alessio Perigli)
Jonas cerca di comprendere se il concetto di dogma sia analizzabile da un punto di vista ermeneutico. Paolo Nepi nel suo saggio su Jonas “La responsabilità ontologica” riepiloga la visione del dogma di Hans Jonas: «Nel saggio su Sant’ Agostino, Jonas ricostruisce le tre fasi attraversate dalla speculazione agostiniana sulla libertà: la fase antimanichea, quella paolina e, da ultimo, la fase antipelagiana. La riflessione di Agostino sulla libertà si trova tuttavia a seguire un percorso segnato dai due dogmi del peccato originale e della predestinazione. Come si conciliano temi apparentemente contraddittori, come quello della libertà, da una parte, e del peccato originale e della predestinazione dall’altra? Jonas affronta tali questioni nell’appendice al suo studio su sant’Agostino, dal titolo significativo Sulla struttura ermeneutica del dogma. Cosa significa parlare di “struttura ermeneutica del Dogma”?. Significa riconoscere che la proposizione dogmatica ha almeno due livelli di comprensione.
Primo livello. Si tratta di quello immediato, legato al contenuto materiale delle affermazioni contenute nelle verità che i dogmi definiscono e propongono alla fede del credente. Nel linguaggio stesso in cui sono formulati, i dogmi rispecchiano la struttura razionale della comunicazione apofantica1, quella in cui un predicato attribuisce i contenuti ad un soggetto determinandone l’identità cognitiva. Per questo il linguaggio dei dogmi viene definito da Jonas “dialettico”, nel senso che non esiste nessun livello cognitivo che trascenda il piano dell’affermazione contenuta nella definizione dogmatica. Secondo livello. Se analizziamo tuttavia la struttura ermeneutica del dogma in tutta la sua estensione e profondità, ci dice Jonas, notiamo che la verità dogmatica non esaurisce tutta la complessità esistenziale che ha prodotto le affermazioni apofantiche contenute nelle proposizioni dogmatiche. I dogmi non sono altro che l’oggettivazione di qualcosa che ha a che fare con l’esperienza vissuta del Dasein, e che ad essa rimandano se vogliono essere compresi in tutta la ricchezza del loro significato.»2 Il dogma non può essere scorporato dal suo fondamento ontologico e metafisico. Jonas individua due caratteristiche fondamentali che identificano il dogma:
Pierre Bourdieu: la distinzione. Per una decostruzione sociale e psicologica del gusto e degli intellettuali
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Ma soprattutto, sono sempre stato grato a Pascal, almeno come lo leggo io, della sua sollecitudine, lontana da ogni ingenuità populista, per “la gente comune” e le “sane opinioni del popolo”, come pure della volontà, da tale sollecitudine inseparabile, di cercare sempre la “ragione degli effetti”, la ragion d’essere delle condotte umane in apparenza più gratuite e ridicole – come “correr tutto il giorno dietro una lepre” – invece di indignarsi o di prendere gioco, a guisa dei “mezzo addottrinati”, sempre pronti a “fare i filosofi” e a tentare di stupire con i loro stupori fuori misura circa la vanità delle opinioni di senso comune. (Pierre Bourdieu, Meditazioni pascaliane)