Koko, a talking gorilla

(nella foto in alto, due gorilla di montagna fotografati in Uganda)

KOKO, A TALKING GORILLA(Koko, un gorilla che parla), tradotto in italiano da noi filosofiprecari, è uno straordinario documentario (benché datato) che mostra inequivocabilmente che non vi è nessun salto ontologico fra la specie umana e le altre specie viventi, ma una continuità. Ad un gorilla di pianura – tuttora vivente – dagli anni Settanta in poi è stato insegnato il linguaggio dei gesti dei sordomuti; Koko riesce tramite esso ad esprimere sentimenti, stati d’animo, a dire bugie, fare congetture, riferirsi ad avvenimenti del passato ed a proposte per il futuro; riesce in altre parole a comunicare efficacemente ed in maniera continua con una specie diversa dalla sua, l’essere umano. Ricombina inoltre i segni imparati in maniera autonoma, forgiando nuove parole e combinazioni di parole per significare nuovi oggetti e nuove realtà, anche esistenziali, in cui si imbatte, fino al punto d insegnarli ad altri Gorilla e perfino agli Scimpanzé.

La teoria dell’evoluzione, a duecento anni dalla nascita del suo primo fondatore, sottoposta in Italia come nel mondo a continui attacchi in nome della politica teocon-teodem, di alcune confessioni religiose, e di alcune frange dell’umanesimo, trova in questo incredibile esperimento una conferma ed un avvallo; benché datato e condotto secondo tecniche e strategie educative oggi superate, l’ “esperimento” rimane una pietra d’inciampo: l’ultimo baluardo dell’unicità umana in nome del linguaggio o di pseudo principi extranaturali come anima ed inanimazione, e dicotomie del tutto fittizie quali natura/cultura, naturale/artificiale, essere umano/natura, vengono infrante dall’evidenza dei fatti. L’uomo che cerca di relazionarsi con specie extraterrestri, cercando l’intelligenza in surrogati umani di altri pianeti, si accorge incredibilmente che forme di vita intelligenti, o diversamente-intelligenti lo circondano, lo hanno sempre circoandato. Questione di metodo, di ignoranza, di ideologia, specie di una “naturalizzata” ideologia ebraico-cristiana. Sorge finalmente l’evidenza che vi è una continuità assoluta fra specie umana e le altre specie viventi, fra uomo e natura, in termini di capacità, dignità e diritti, e quindi – purtroppo solo in teoria – ciò distrugge l’intramontabile paradigma antropocentrico, il paradigma occidentale-biblico (ma purtroppo, spesso, anche scientifico) che vede l’essere umano al centro della “creazione”, nato o creato per dominarla in nome della “differenza di natura”. Questa differenza sembra essere, ora più che mai, il vero peccato originale della cultura occidentale. Basterebbe spingersi un po’ più ad oriente nel mondo per trovare ideologie religiose radicalmente anti-antropocentriche, basti pensare al buddismo o al buddismo zen. Ma qui in Occidente navighiamo davvero verso la fine del nostro miope ed essenzialista umanesimo, come hanno fatto intendere, per esempio, Nietzsche ed Heidegger?

(Video 1 e 2)


koko1 di alessandro-stella

koko2 di alessandro-stella

Il riso, il rito, Umberto Eco. Una recensione de Il nome della rosa

Se ordini Il nome della Rosa tramite il nostro link usufruisci di uno sconto significativo: Il nome della rosa (I grandi tascabili)

— — —

(Gli argomenti di Jorge contro il riso ne Il nome della Rosa di Umberto Eco)

Leggevo recentemente un libro di Walter Burket, “Homo Necans”. Si sta parlando del “rituale” e della sua valenza conservativa. Cito letteralmente:

Forte dell’usanza religiosa è il costume dei padri. E’ dal tempo dei presocratici che si dibatte ostinatamente la questione di come l’umanità sia giunta alle prorpie rappresentazioni religiose, mentre tutti gli individui dell’epoca storica e certamente innumerevoli generazioni dell’età preistorica si lasciarono imprimere la loro credenza religiosa dalla generazione anziana. […] evidentemente, l’importanza dei riti per la perpetuazione delle società umane è stata così grande che, da innumerrevoli generazioni, è diventata essa stessa un fattore di selezione. Chi non vuole o non può sottrarsi ai riti della società non ha alcuna chance al suo interno: soltanto chi è integrato vi agisce ed influisce. Il carattere di serietà dei rituali religiosi diventa qui una reale minaccia: una defaillance psichica di fronte a essi significa la catastrofe personale. Per esempio, un bambino che reagisca alla solennità con la voglia di ridere non sopravviverà in una comunità religiosa. Apollonio di Tiana smascherò d’un colpo un siffatto giovane come posseduto dal demonio; fortunatamente lo spirito cattivo abbandonò subito il giovane atterrito… Abati medievali combattevano il diavolo a veri e propri colpi di bastone, e del resto sino in epoca moderna invalse l’uso della “frusta del diavolo”.

Leggendo queste righe mi sono venuti in mente due elementi. Il primo è un dato personale. Il ricordo di un prete, durante una catechesi, nella mia infanzia. Mi misi a ridere mentre parlava, lui mi guardò come volesse strangolarmi, e disse a tutti in tono perentorio: “Ragazzi, cercate di non ridere mentre parlo. Un po’ è perchè mi mancate di rispetto – non a me, ma all’abito che porto – e poi perchè mentre siamo così in preghiera, il riso non viene da Dio”. Ho un po’ ricostruito, ma queste furono le sue parole lapidarie. Parole che mi ricordano un libro che si è capito poco, un best seller triller-medievale: “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco. Qui, Guglielmo di Baskervill (chiamato così anche in onore di Guglielmo d’Ockam, il più radicale nominalista antitomistico del medioevo) ha una discussione con il frate anziano dell’abazia, il venerabile Jorge sul riso. Guglielmo gli dimostra, citando la poetica di Aristotele ed i Vangeli, che il riso non è peccato. L’anziano frate obietta,  non sa rispondere, e lancia improperi su Aristotele e sul rivale citando rabbiosamente altri passi della Bibbia. Il libro che poi l’anziano benedettino nasconde, e per il quale uccide, non è altro che il libro perduto dello Stagirita dedicato al “RISO”.

Continua a leggere

Cos’è la Laicità? Il concetto di un Dio non più necessario

Se ordini Resistenza e Resa di Bonhoeffer tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo: Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere (Classici del pensiero cristiano)

— — —

(Nel disegno, l’interferometro del celebre esperimento di Michelson-Morley)

Il 20 settembre 2010 ricorrrevano i 140 anni dalla breccia di Porta Pia, e qui a Roma si è festeggiata la capitale d’Italia. Una ghiotta occasione per parlare di laicità e religione. Ma cosa centra l’interferometro di Michelson con Dio? Niente di esoterico, niente a che fare con la spazzatura stile Dan Brown o Giacobbo!

Per secoli si era creduto che la luce, per propagarsi, avesse bisogno di un substrato, l’etere appunto. L’esperimento di Michelson-Morley dimostrò che questo ente postulato, l’etere, non esistesse, o che, più diabolicamente, quando anche ammettendo la sua possibile esistenza, esso non avesse nessuna influenza sulla luce e sulla sua propagazione.

Con l’ente Dio, a livello di storia delle idee, accade la stessa cosa. Il mondo, la scienza, e le istituzioni laiche si sono sviluppate partendo dalla convinzione che non sia più un tassello indispensabile. In questo, più recentemente,  ha avuto un ruolo fondamentale Darwin; per primo ha parlato di vita ed evoluzione, con un sistema suffragato dai fatti, senza  la necessità di alcun intervento provvidenziale o divino. E’una idea troppo “blanda”, questa, di laicità? Libri come quello di Monod, Caso e necessità, teorizzano invece non certo una “prudente” inutilità di Dio, ma di più, un Suo ostacolo sia Etico, sia Logico che Epistemologico allo sviluppo di una mentalità laica.

Continua a leggere

L’altra faccia dello specchio di Konrad Lorenz. Una recensione

Se ordini il libro tramite il nostro link usufruisci di uno sconto significativo: L’altra faccia dello specchio. Per una storia naturale della conoscenza (Gli Adelphi)

— — —

Una piccola recensione per un libro vasto, ricco, ricchissimo di spunti ed affascinanti riflessioni sulla natura umana e sulla vita in genere. Konrad Lorenz, il fondatore dell’etologia, in questo libro si sbilancia in territori anche abbastanza distanti e “pericolosamente” nuovi. Tante ipotesi, tante strade nuove per gli anni in cui scriveva. Il nobel preso da Lorenz nel 1973 è in parte riassunto in questa importante opera. E’ effettivamente il libro più filosofico e ardito (quanto a ipotesi) che il grande uomo di scienza abbia scritto. Da questo punto di vista, Lorenz qui appare anche il fondatore di un’altra disciplina, l’epistemologia evoluzionistica. Il libro è abbastanza divulgativo, ma non mancano passaggi difficili e molto tecnici che dimostrano che Lorenz scriveva rivolto anche ai suoi avversari, spesso i comportamentisti, i riduzionisti (coloro, in generale, che per metodo spiegano ogni struttura dei comportamenti complessi, anche umani, solo in base a funzioni sottostanti, sottovalutando l’emersione di strutture nuove) e, dall’altra parte, gli “idealisti” che frappongono una barriera fra l’uomo e la natura, fra l’uomo e le altre specie, fra cultura e natura, fra l’uomo e l’apparato istintuale comune alle altre forme di vita. Scopo del libro è proprio mostrare i legami ferrei, quei ponti spesso invisibili fra quel mondo a sé che gli “idealisti” chiamano cultura, che chiamano essere umano, e quell’altra roccaforte, quell’altro mondo che gli scienziati chiamano oggettivamente natura. In sintesi, obiettivo è riuscire ad unificare due ambiti di ricerca e quei due mondi (gli umanisti e gli scienziati) che C. P. Snow ha descritto così bene nel suo libro, The Two Cultures. Per bocca di Lorenz, lo scopo dell’opera è il seguente:

Io spero di poter dimostrare anche agli antropologi di formazione filosofica, il cui atteggiamento nei confronti della biologia e della filogenesi non è particolarmente benevolo, quanto uniche nel loro genere appaiono le caratteristiche e le prestazioni specifiche dell’uomo proprio quando le si esamini con gli occhi del naturalista, cioè in quanto prodotto di un processo evolutivo naturale. Tale è lo scopo che questo libro si propone. (p. 23)

Continua a leggere

Buone ferie!

Con lo zaino in spalla, vi saluto a settembre con una citazione di un libro che sto leggendo…

The mindful exepert themselves;
they are not attached to any home.
Like swans that abandon the lake,
they leave home after home behind.

Dhammapada

(Gli uomini saggi esercitano se stessi; non sono attaccati a nessuna casa. Come cigni abbandonano il lago, e lasciano dietro di loro una casa dopo l’altra)

Prefazione di Toni Negri agli Invisibili di Balestrini

fonte: GLOBALPROJECT

Il libro di Nanni Balestrini che viene ora ripubblicato parla di invisibili attori della lotta di classe tra gli anni ’70 ed ’80, in particolare nell’Italia del Nord e poi dentro le galere del Regno. Invisibili sono questi soggetti perché inafferrabili, esseri in mutazione, metamorfosi in atto: ma oggi che dire di questi invisibili (ed anche di questo romanzo) se non che non si tratta più di una storia antica e dismessa quanto invece di una tendenza attualissima, allora intravista e poi percorsa nel suo divenire?

La ripubblicazione de Gli invisibili ha il vantaggio dunque, oggi, di parlare di soggetti proletari la cui natura di classe è stata finalmente rivelata: gli invisibili di ieri sono i proletari di oggi, i lavoratori immateriali, il precariato cognitivo, la nuova figura dell’operaio sociale nei movimenti della moltitudine. Ce l’hanno fatta, questi maledetti, ad attraversare una rivoluzione nella composizione del lavoro ed una feroce repressione politica, a passare, lottando, dalle fabbriche alla società e (sempre producendo) dalla società alla galera (sempre ribellandosi). Ed ora dove andranno? Quella elite del movimento operaio che tradì e trascinò nel carcere gli invisibili, oggi si guarda intorno paurosa, incapace di costruire politica, teme di non poterlo fare se non riprende contatto con quel movimento secolare di trasformazione: ma non potrà mai farlo!

Continua a leggere

Torna la Rivista degli "Intellettuali disorganici".

Filosofi precari, “intellettuali disorganici” e Invisibili. Un pericoloso mix per ogni regime…
(da Il fatto Quotidiano, p. 17  anno 2, n. 190, alcuni estratti)
Nanni Balestrini, Umberto Eco e gli altri ci riprovano: torna la rivista culturale Alfabeta
Non c’è più nemmeno bisono di agitare lo spettro della fondina. La parola “cultura” fa abbastanza schifo a molti senza scomodare gerarchi nazisti. Per non dire la categoria che la maneggia: intellettuali. Dileggiati, offesi, storpiati (nella peggior vulgata: “pseudo-intellettuali” o “intellettualini”). […] Così ritorna Alfateta, rivista culturale nata a Milano alla fine degli anni Settanta: dentro ci sono Eco, Sartori, Colombo, Bonito-Oliva, Cardini.E naturalmente Nanni Balestrini, lo scrittore degli Invisibili.

Balestrini, vent’anni dopo con chi se la vedono i moschettieri di Alfabeta?
In realtà non intendevamo rifare Alfabeta. Abbiamo sentito la necessità di intervenire in questa situazione così degradata dal punto di vista culturale. Non volevamo restare spettatori, per esempio, di fronte all’universo culturale falcidiato da tagli.
Dietro i tagli c’è un’intenzione?
Sì. C’è l’idea – che poi è la base di questo governo berlusconiano – che il populismo si porta avanti con mezzi di massa. Quindi tutto quello che è riflessione colta, individuale, viene visto come nemico. Ma c’è anche disprezzo forte, congenito per la cultura.
Balestrini,  una rivista culturale è un mezzo di comunicazione  ancora attuale?
Abbiamo fatto quattro o cinque riunioni con dei giovani universitari, perchè ci interessa avere collaboratoi “freschi”. E interpellare la nuova generazione. Sono rimasto sorpreso: i giovani sono creativi, colti e appassionati. Mi fa specie se penso che sono condannati alla precarietà. Questa vitalità ci piacerebbe non fosse sprecata.

Continua a leggere